A proposito del Governo Draghi

Finora, il miglior commento sul Governo Draghi l’ho letto su La Stampa, in un editoriale di Massimo Giannini. Un ragionamento complesso, ma che condivido interamente (avevo scritto le stesse cose), il cui succo sta nell’asserzione che non si tratta del “governo dei migliori”, ma del governo migliore date le circostanze. Tutti avremmo voluto che Draghi scegliesse solo persone al massimo delle rispettive competenze, cioè in pratica di grandi “tecnici”, ma lui deve operare nella realtà, non nell’ideale. Per mettere insieme una maggioranza parlamentare tanto disparata, non poteva ignorare i partiti e le loro indicazioni o il suo tentativo si sarebbe arenato sul nascere. Certo, c’è da chiedersi che cosa ci facciano personaggi largamente demonetizzati, come Brunetta o Garavaglia, per non parlare delle inossidabili Carfagna e Gelmini, ma va detto che sono confinati in ruoli marginali: i posti che contano sono in mano a Draghi e la politica generale del governo la dirigerà lui, in Italia e in Europa. Per ora, questo basta.

Condivido anche i commenti di Giannini sui malumori serpeggianti tra 5 Stelle e donne del PD. Sono psicologicamente comprensibili ma dimostrano che c’è chi non riesce a immedesimarsi nella gravità della crisi, nelle esigenze del Paese e nei problemi che deve affrontare il nuovo esecutivo,  e persiste nel rincorrere idiosincrasie di purezza ideologica o di parità di genere che ora veramente  appaiono infantili. Ma questa è, almeno in parte, la classe politica e se così non fosse, non sarebbe arrivata a dichiarare più volte forfait e ad affidarsi nelle mani di un “Grand Commis”, Ciampi, Monti e ora Draghi.  Gli italiani sono un popolo di “cittadini che protestano” (e hanno cominciato già a mormorare su Draghi, anche se la sua santificazione per ora prevale), ma facciamoci un esame di coscienza: ci lamentiamo ritualmente di chi ci governa, ma ad ogni elezione, con una tendenza che va peggiorando di anno in anno, scegliamo invariabilmente i meno adatti, correndo appresso alle più improbabili sirene, da Berlusconi a Grillo e a Salvini. O, su una scala minore, una Virginia Raggi.

Quando per buona sorte vengono fuori persone adeguate come Gentiloni (e lo stesso Conte), la classe politica non vede l’ora di farli fuori e la gente magari non capisce, ma alle elezioni successive torna a scegliere i peggiori. Morale: non lamentiamoci troppo, alla fine la colpa è nostra, perché non è sempre vero che non c’è scelta; nel 2013 c’era l’offerta Monti, nel 2018 un PD rappresentato a quel momento da Gentiloni, ma noi abbiamo seguito le ondate del momento. Un paese che riesce a dare quasi il 50% dei voti ai più sconclusionati populisti, ha qualcosa che non va. E chissà in quali guai ci saremmo cacciati se non avessimo avuto due argini: l’Europa e Presidenti della Repubblica miracolosamente all’altezza.

Ma è inutile piangerci addosso. I difetti di sistema non si curano da un giorno all’altro. Ora l’importante è vedere se il Governo Draghi riuscirà a realizzare almeno la parte essenziale del suo programma: vaccinare tutti, rianimare l’economia con un uso corretto dei fondi europei, riaprire le scuole, migliorare la giustizia civile, ampliare la digitalizzazione, sostenere l’economia verde, magari modernizzare un po’ l’elefante burocratico. Poche cose, e di per sé compiti erculei, specie se si scontano resistenze e colpi bassi della politica. Chiedere di più, reclamare le grandi riforme mai realizzate in mezzo secolo, a un Premier che non ha maggioranza propria e i cui orizzonti temporali sono, comunque, limitati, è francamente assurdo.

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