Camera di Consiglio

DIFFAMAZIONE ONLINE – La Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza, è tornata a pronunciarsi sul reato di diffamazione a mezzo internet: sempre più spesso, infatti, tale reato si consuma nella Rete, ed è paragonato alla diffamazione a mezzo stampa e, per questo, non si tratta di diffamazione semplice, ma aggravata.

E’ bene precisare che sussiste il reato di diffamazione qualora il soggetto agente offenda l’altrui reputazione comunicando con più perone. Nel caso di specie, il reato consisteva in diffamazione aggravata proprio perché effettuato tramite la piattaforma Facebook: l’imputata era stata condannata alla pena di Euro 1.500,00 di multa oltre al risarcimento dei danni per il reato di cui sopra per aver diffuso notizie false circa la relazione extraconiugale del suo ex coniuge e dell’attuale compagna di lui, offendendola con epiteti volgari, nonché asserendo falsamente che il figlio della donna fosse nato dalla relazione extraconiugale.

L’imputata veniva condannata sia in primo che in secondo grado, per poi ricorrere per Cassazione con vari motivi di censura, tra i quali l’asserito mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione rappresentata dalla relazione extraconiugale e  la mancata valutazione delle condotte moleste e diffamatorie messe in atto dall’amante ai danni dell’imputata stessa  tra il 2013 e il 2015.

Invero, il Codice Penale, all’articolo 599 prevede che la provocazione sia causa di esclusione della punibilità, quando chi ha commesso il reato di diffamazione nello stato d’ira determinato “da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.

Tale disposizione, dunque, contempla da un lato una causa di non punibilità della diffamazione, che quindi non viene più ritenuta meritevole di sanzione penale a fronte della reciprocità delle offese, ma, altresì, appare evidente che per la sua applicazione e per escludere la punibilità di un fatto che costituisce reato, debba sussistere l’immediatezza della reazione. Tuttavia, nel caso di specie, la condotta dell’imputata ne era priva.

Infatti, la Corte rileva che la condotta diffamatoria dell’imputata veniva posta in essere quando la relazione extraconiugale del marito era già terminata e, in ogni caso, per un tempo eccedente rispetto all’immediatezza dei fatti: pertanto, le frasi diffamatorie dell’imputata venivano considerate un’espressione di un proposito di vendetta, uno sfogo di rabbia, come dalla stessa ammesso, che non potevano ritenersi conseguenze di una provocazione.

Lo stato d’ira non era stato una conseguenza immediata e diretta di un fatto ingiusto altrui: a provocare le scritte di quel giorno, infatti, era stato un incontro fortuito tra le due donne.

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