Rivedendo Clint
Iris festeggia i 90 anni di Clint Eastwood con una serie di film interpretati e diretti dal texano con gli occhi di ghiaccio. Abbiamo visto due thriller ad alta tensione come Debito di sangue (2002) e Fino a prova contraria (1999), pellicole nelle quali l’attore dimostra grande versatilità ricoprendo due ruoli diametralmente opposti: il primo da agente FBI in pensione, il secondo da giornalista che si fida solo del suo fiuto.
In Debito di sangue, Eastwood mette in scena il romanzo di Michael Connelly sullo strano connubio tra un serial killer e il poliziotto che gli ha sempre dato la caccia, fino a spingere il folle omicida a uccidere le persone che potrebbero donare il loro cuore al rivale, sofferente di una grave malattia cardiaca. Un film che molti critici reputano minore, di puro genere, ma che resta un gioiello della cinematografia poliziesca, un thriller condito di stereotipi che smorza la tensione con diverse trovate comiche basate sulla rivalità tra l’agente in pensione e i poliziotti messicani. Molte scene di azione sono superlative e restano impresse nell’immaginario, mentre Eastwood dimostra di essere molto di più che un interprete dotato di due sole espressioni – con il cappello e senza – come diceva Sergio Leone. Sono passati i tempi del poncho e del sigaro in bocca, pure se ricordiamo con piacere anche quel Clint Eastwood alle prime armi che con uno sguardo glaciale fulminava i cattivi del nostro spaghetti western.
Fino a prova contraria è persino migliore, puro cinema drammatico inserito in uno schema di genere, vede un giornalista privo di sentimenti, che non sente amore neppure per la figlia, fare di tutto per salvare un innocente dalla condanna a morte. Non lo fa, badate bene, per coscienza o per sete di giustizia, ma per provare a se stesso che – nonostante un periodo di ubriachezza – è ancora un giornalista dal fiuto infallibile. Pure in questo film non mancano gli stereotipi e i dialoghi tipicamente americani, notiamo però una coraggiosa (e insolita per un uomo di destra) condanna della pena capitale come metodo per fare giustizia. Ottime le sequenze di amore paterno e coniugale tra il condannato, la moglie e la figlia, poche ore prima della programmata esecuzione. Il giornalista non crede in niente, non ama che se stesso e le sue conquiste femminili, ma ha deciso che deve salvare il condannato perché il suo invidiabile fiuto gli dice che è innocente. Bellissima la parte finale, cinema d’azione allo stato puro, con inseguimenti automobilistici e corse sfrenate lungo le strade che conducono al carcere per evitare la condanna a morte di un innocente. Due film di circa vent’anni fa, importanti nella carriera di un regista-attore che (nonostante le novanta primavere) continua a stupire con prodotti confezionati con grande cura e interpretati in maniera magistrale.
Collegatevi a Iris per vedere quel che resta di un ciclo importante della cinematografia nordamericana.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]