Draghi e l’UE
Una cosa è certa: per Mario Draghi, sedersi al maggior tavolo europeo, parlare alla pari con Macron e la Merkel, non era nuovo e non è stato difficile. A dire il vero, anche i suoi predecesori, da Mario Monti in poi, si muovevano con disinvoltura in Europa. Lui ha in più un prestigio generale che viene da lontano e la consuetudine a maneggiare i macroproblemi, non solo economici. E inoltre conosce a menadito la “diplomazia delle grandi istituzioni” e sa bene quanto importanti siano i contatti personali con i leader principali prima e durante le riunioni che contano.
La sua prima partecipazione a un Consiglio Europeo è dunque stata come ci si poteva attendere da lui. Poichè il tema centrale era il Coronavirus, ha reclamato una distribuzione effettivamente rapida dei vaccini e una linea dura nei confronti delle imprese produttrici che stanno mancando ai loro impegni. E poichè è una persona abituata alla concretezza, le sue richieste sono state accompagnate da suggerimenti pratici piuttosto precisi.
Nella sua azione, non ha esitato a criticare implicitamente la Commissione UE (e quindi la Presidente Ursula Van der Leyen) per i contratti stipulati, che evidentemente non includevano le necessarie garanzie (v. il caso Astra-Zeneca) e dirsi esplicitamente poco rassicurato dai grafici mostrati dalla Van der Leyen sulle distribuzioni previste per i prossimi trimestri.
Una certa cortesia istituzionale è normale nei grandi consessi, ma è anche giusto parlare chiaro. Draghi può farlo, perché parte da un europeismo forte e convinto, e tutti lo sanno, e da un’autorità senza paragoni in Italia dopo Monti.
Il nostro Premier sa che per noi l’Europa è vitale, ma non è un uomo rassegnato al tran-tran burocratico. Lo ha dimostrato come Direttore del Tesoro e poi alla BCE. Il suo obiettivo è sempre quello di migliorare e razionalizzare il funzionamento degli organismi dove lavora e non c’è dubbio che la macchina europea ne abbia bisogno.
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