Camera di Consiglio

PENSIONE DI REVERSIBILITA’ AI CONIUGI SUPERSTITI – Il problema della pensione di reversibilità del marito venuto a mancare si fa più complicato quando allo stesso succedono due coniugi superstiti. Per la determinazione della ripartizione delle rispettive quote, il Giudice deve tenere conto della durata effettiva della comunione di vita, alla eventuale presenza di figli, nonché alla misura dell’assegno di divorzio.

Il caso è stato affrontato dalla Corte d’Appello di Taranto, secondo la quale non va applicato semplicemente ed automaticamente il criterio temporale della durata formale del matrimonio ai fini del calcolo della quota della pensione di reversibilità, perché si finirebbe per eseguire un calcolo meramente matematico, trascurando aspetti ben più importanti.

In primo grado, il Tribunale aveva deciso che alla moglie divorziata doveva essere riconosciuta la quota del 63% della pensione di reversibilità, tenendo conto della durata di 12 anni del primo matrimonio e di 7 anni di quello con la moglie superstite, proprio sulla base di un semplice e banale calcolo matematico. Per tale motivo, la moglie superstite impugnava la decisione, affermando come per tale calcolo si sarebbe dovuto tener conto di altre situazioni afferenti alla vita familiare. Ella, contestava la durata effettiva del matrimonio con la prima moglie, inteso come obblighi di coabitazione, fedeltà, diritti e doveri dei coniugi che, di fatto, era durato solo qualche mese a causa dell’insorgenza di fatti che avevano intollerabile molto presto la convivenza ed evidenziando come la stessa, sino al quel momento aveva dovuto provvedere al mantenimento del figlio nato dall’unione col marito defunto, potendo contare sulla sola pensione di reversibilità.

La Corte accoglieva le doglianze poiché, tra l’appellante ed il marito vi era stata, infatti, una lunga convivenza more uxorio, che merita di essere considerata come avente un distinto ed autonomo valore giuridico, mentre per calcolo degli anni di matrimonio con la moglie divorziata si era tenuto conto unicamente della durata del matrimonio legale, comprendente anche il periodo successivo alla separazione fino alla sentenza di divorzio. La considerazione della lunga convivenza more uxorio, avvenuta anche in tale periodo, non poteva non essere presa in considerazione.

A conti fatti, considerando gli altri criteri preponderanti per l’esistenza di unione materiale e spirituale tra i coniugi, qual è il matrimonio, il matrimonio con la prima moglie era durato soli tre anni e non era stato allietato dalla nascita di figli, mentre la convivenza sia more uxorio, sia matrimoniale con la moglie superstite era durata ben 15 anni, allietata dalla nascita del figlio della coppia.

E tali aspetti non possono essere considerati di poco conto. Per questo la Corte d’Appello, sulla base di una giurisprudenza della Corte di Cassazione oramai costante, decideva che: “occorre far riferimento non già al rapporto formale ma anche alla convivenza prematrimoniale al fine di attribuire il criterio temporale all’effettiva comunione di vita del de cuius con le due mogli, dovendosi riconoscere alla convivenza “more uxorio” non una semplice valenza “correttiva” dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico”.

E ciò ha portato alla rideterminazione della pensione di reversibilità al 70% per la moglie superstite.

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