Camera di Consiglio

ALIENAZIONE PARENTALE, LA PAROLA DI NUOVO ALLA CASSAZIONE – Il concetto di PAS (cosiddetta “Sindrome da alienazione parentale”), consisterebbe in una sindrome che si sostanzia quando uno dei genitori (l’alienante) avvia nei confronti dell’altro coniuge (l’alienato), un’autentica campagna di denigrazione finalizzata a far sentire come nociva e pericolosa la frequentazione del figlio da parte dell’altro genitore e della famiglia di quest’ultimo.

La sussistenza di tale sindrome, riconosciuta spesso dalle Corti di merito e dalla stessa Cassazione, ha subito un forte arresto con una requisitoria della sostituta procuratrice generale effettuata avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che parzialmente riformava il decreto del Tribunale per i minorenni di Roma. In particolare, un minore aveva denunciato atti di violenza da parte del padre, ma i Giudici di merito avevano omesso qualsiasi accertamento e/o valutazione ed avevano affidato il minore medesimo ai servizi sociali, collocandolo presso una casa famiglia in forma residenziale e non solo diurna.

Dall’altra parte, tuttavia, la Corte di merito imputava alla madre “di aver indotto al convincimento che l’interazione con un genitore [la madre stessa] dovesse determinare l’esclusione dell’altro e del di lui ramo familiare”: la madre, dunque, sarebbe da considerare quale genitore “alienante”.

Importanti sono le motivazioni addotte dalla procuratrice. In primis, secondo la medesima, nel provvedimento impugnato non viene indicato alcun fatto, circostanza, o comportamento tenuto dalla madre pregiudizievole al figlio: venivano solo evocati concetti evanescenti come “l’eccessivo invischiamento”, “il rapporto fusionale”: la procuratrice ritiene dunque che di fronte a tali concetti sia impossibile difendersi, non avendo, a suo dire, base oggettiva o scientifica, ossia da considerarsi come “il risultato di una valutazione meramente soggettiva”.

In particolare, era la stessa Cassazione nel 2016 a sancire che, nel caso in cui un genitore denunci comportamenti di allontanamento morale e materiale del figlio da sé a causa dell’altro genitore, il giudice di merito è sempre tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti e deve altresì accuratamente accertare le ragioni del rifiuto del minore. Orbene, nel caso di specie, la prova consiste proprio nelle dichiarazioni espresse dal minore riguardo alle violenze subite dal padre, mentre l’allontanamento dalla madre non appare provato. Dunque, la decisione impugnata, secondo la requisitoria, viola non tanto il principio di bigenitorialità, ma il diritto del fanciullo a mantenere la continuità affettiva e di cura con la madre, oltre a violare il suo diritto alla conservazione all’habitat domestico, “da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare”, che per giurisprudenza costante deve essere protetto in quanto luogo che maggiormente favorisce l’armonico sviluppo psico-fisico del minore.

E la decisione impugnata viola anche i diritti sanciti nella Convenzione di Istambul, inquanto norma sovranazionale, la quale impone di escludere non solo l’affidamento condiviso, ma anche qualunque contatto autore – vittima, nel caso in cui emerga una forma di violenza tra quelle previste dalla Convenzione medesima, che prevede la necessità di garantire che l’esercizio di visita e di custodia del minore non deve compromettere il diritto alla sicurezza del minore.

A quest’ultimo, nel caso di specie, era vietato qualsiasi contatto anche con la madre: ebbene, “solo condizionamenti accertabili su un piano scientifico a partire da comportamenti concretamente posti in essere, possono costituire la ragione per confinare nell’irrilevante giuridico la volontà chiaramente e consapevolmente espressa dal minore, che il diritto vivente vuole al centro di ogni decisione che lo riguardi”.

Se già da prima la PAS non era considerata una patologia vera e propria, il riconoscimento di tale sindrome, attraverso anche il riscontro da parte di consulenti tecnici, poteva spesso comportare alla deroga alla regola dell’affido condiviso, determinando così l’affido esclusivo al genitore non alienante, per tutelare il diritto del minore. E si può ben notare che nel caso di specie, ad avviso di chi scrive, non molto è cambiato: non è riconosciuto scientificamente e non è stato ritenuto provato. E per questo motivo la madre ha vinto il ricorso.

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