Turchia, come allontanarsi dalla UE
Da secoli, fin dall’Impero Ottomano, i rapporti con la Turchia e l’Europa non possono essere certo considerati tra i migliori; secoli di guerre ma anche scambi culturali di cui si vedono tracce architettoniche non solo a Venezia ma anche sulle coste Croate e non solo. Il ventesimo secolo aveva quasi ai suoi albori portato una ventata di cambiamento ma verso la sua fine i rapporti sembra siano tornati a livelli dei secoli passati e la gravissima mancanza di rispetto nei confronti di Ursula Von Der Leyen costretta su un divano e non nella sua giusta collocazione è qualcosa di più che non una mancanza di rispetto o un errore del cerimoniale.
Nel 1923 Mustafà Kemal Atatürk, diventò primo presidente della Repubblica di Turchia e grazie a riforme di carattere laico gettò le basi per dare alla popolazione una omogeneità comportamentale e culturale in generale, che potesse rendere somigliante la “percezione della vita” con i cittadini del “vicino Occidente”. Addirittura, la Turchia avanzò la sua candidatura per aderire all’Unione Europea nel 1995. L’avvento di Recep Tayyip Erdogan, che iniziò la sua carriera politica con l’elezione a sindaco di Istanbul nel 1994, cominciò a produrre una lenta ma inesorabile contrazione dei principi laici che da tempo avevano attecchito nella popolazione e, nei giorni scorsi, è stato probabilmente fatto un grosso passo indietro per l’ingresso nell’UE.
L’uscita di Ankara dalla Convenzione di Istanbul, il cui scopo è prevenire e combattere la violenza contro le donne, con un decreto presidenziale firmato il 20 marzo non poteva certo passare inosservata e provocare reazioni oltretutto in un paese dove gli omicidi di donne sono frequenti: trecento sono stati accertati nel 2020, e le cronache parlano anche di molti casi sospetti e più volte i responsabili di questi crimini hanno cercato di far passare la morte della vittima come un suicidio.
Erdogan, che necessita del sostegno dell’elettorato integralista islamico, ha sostenuto che la Convenzione danneggia i valori della famiglia tradizionale e che i diritti delle donne saranno comunque protetti dalla legislazione nazionale.
Questa improvvida decisione sembra in apparente contrasto con gli sforzi diplomatici che erano stati posti in essere dalla diplomazia turca che stava aumentando le richieste di dialogo, interrotto dal 2016, con gli europei, al fine di trovare una mediazione su questioni di massima tensione, che, oltre alla disputa marittima con la Grecia, riguardano in particolare il ruolo della Turchia nei conflitti in Siria, in Libia e recentemente la massiccia presenza a fianco dell’Azerbaigian nella guerra contro gli armeni per il controllo del Nagorno Karabakh.
Le proteste in Turchia e non solo non sono certo mancate ed anche l’Unione Europea si è espressa a sfavore del comportamento del presidente turco; tuttavia l’Europa deve fare i conti con i suoi particolarismi interni: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia non hanno infatti ratificato la Convenzione. In Ungheria, nel 2020, è stata bocciata dal Parlamento perché considerata favorevole alla cosiddetta ideologia gender e, indirettamente, al diritto d’asilo per le vittime di violenza e all’immigrazione clandestina. La Polonia aveva in un primo tempo aderito poi il governo conservatore ci ha ripensato. La Corte costituzionale bulgara nel 2018 ha addirittura definito la Convenzione di Istanbul incostituzionale perché rendeva meno chiara la distinzione fra uomo e donna. Quindi anche all’interno dei Paesi europei la questione è tutt’altro che scontata. Negli Stati Uniti la protesta è giunta dal neopresidente Biden e analisti americani individuano nella scelta di Erdogan a rimarcare il proprio ruolo globale.
Ciò che emerge è, in ogni caso, come la decisione di Ankara di mantenere i rapporti con l’Unione Europea sia dettata da interessi economici e geopolitici e non sia fondata su una condivisione, neanche formale, di principi e valori. Un dato di fatto che dovrà essere attentamente valutato in un eventuale prosieguo del percorso di adesione all’Unione.
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