Caterina Molteni: Dear you, uno spazio intimo

A museo attualmente aperto, mentre permane una situazione di incertezza destabilizzante dovuta all’andamento mutevole della pandemia da Covid-19, il MAMbo-Museo d’Arte Moderna di Bologna prosegue la sperimentazione di nuove modalità di relazione, che nel 2020 lo ha visto esplorare soprattutto la dimensione digitale, spostandosi verso un medium più tradizionale – la corrispondenza attraverso spedizione postale – con il progetto Dear you, a cura di Caterina Molteni che abbiamo intervistato.

Dear you nasce da una riflessione sui confini e sulle potenzialità dello spazio intimo. Considerando le attuali condizioni di semi-isolamento a cui la popolazione mondiale è costretta, il progetto si sofferma sull’intimità non solo come sofferta solitudine, ma come luogo di una possibile e vitale autodeterminazione. Il progetto intende osservare l’indagine introspettiva e il suo esercizio come spazio di trasformazione, concependo l’identità come una dimensione in divenire, possibile fonte di importanti rivoluzioni politiche e sociali ma anche emotive e sentimentali. Questa particolare tipologia di mostra si struttura tramite sei interventi di artiste e artisti internazionali: Hamja Ahsan (Londra, 1981), Giulia Crispiani (Ancona, 1986), Dora García (Valladolid, 1965), Allison Grimaldi Donahue (Middletown, 1984), David Horvitz (Los Angeles, 1982) e Ingo Niermann (Biefeled, 1969), che sono accomunati da una pratica fortemente legata alla poesia, alla scrittura e alla performance. La corrispondenza postale è la forma di comunicazione e di ricezione delle opere prescelta per il progetto. Concepiti come poesie, brevi racconti, istruzioni per atti performativi e come dispositivi relazionali, i lavori che verranno realizzati dialogheranno con la dimensione creatrice del linguaggio, guardando alla lettura come una esperienza trasformativa.

Dear you è un progetto di alto profilo e molto interessante. La corrispondenza postale riporta un poco ai vecchi “amici di penna” di una volta. Come le è venuta l’idea di ridare visibilità a un mondo che oramai è sparito nell’era della comunicazione digitale?

Dear you nasce come reazione ai tempi che stiamo vivendo da oltre un anno, in cui una successione continua di lockdown, quarantene e coprifuochi ha cambiato in modo drastico la nostra vita impattando sulle abitudini quotidiane. Fin da marzo dell’anno scorso ho iniziato a percepire come la svolta digitale perseguita dai musei in tutto il mondo comportasse dei limiti, e che le varie iniziative proposti sul web non potessero rappresentare un’adeguata alternativa alla visita di persona in un museo. Per questo, insieme a Lorenzo Balbi, direttore artistico di MAMbo – Museo d’Arte di Bologna con cui collaboro, abbiamo iniziato a riflettere su un progetto che permettesse al pubblico di fruire l’opera d’arte tra le proprie mani, in modo fisico, a casa propria.

Scendendo più nei dettagli, chi si è iscritto al progetto riceverà una lettera da ognuno dei sei artisti coinvolti. Si tratta di opere già in possesso degli artisti o che vengono realizzate personalmente per ogni abbonato?

Dear you usa come modalità di comunicazione e fruizione dell’opera la corrispondenza postale, e consiste in sei lettere, la cui spedizione è prevista ad intervalli scadenzati tra la metà di marzo e i primi giorni di giugno. Ognuna di esse è pensata da un’artista differente, la cui pratica è fortemente legata alla scrittura e alle pratiche formative. L’idea non era tanto quella di snaturare delle opere d’arte adattandole al formato della lettera, quanto invece di coinvolgere artisti che da sempre includono la scrittura nella propria pratica e ne fanno uno strumento efficace per riflettere su alcuni dei temi più rilevanti della nostra contemporaneità. Le opere, sotto forma di lettera, sono state realizzate da ogni artista appositamente per il progetto e sono da considerare vere e proprie nuove produzioni.

Ha insistito molto sulla rivalutazione del mezzo fisico rispetto il mondo della società liquida, anche nella musica si vede un ritorno al supporto dopo la marea dello streaming, possiamo vedere in un’epoca in cui toccarsi è vietato, rinascere il bisogno di un contatto fisico?

Con gli artisti si è discusso molto della perdita di contatto fisico e le sue ripercussioni sulla vita emotiva individuale, così come della diminuzione della vita sociale condivisa e della necessità di trovare strategie di relazione e cura che andassero al di là dell’esperienza digitale. Dear you si basa infatti su una rivalutazione di condizioni ed esperienze emotive come la fragilità e l’emotività, proponendo i concetti di amore, erotismo, amicizia e lealtà, come strumenti capaci di arginare i principali traumi subiti e accentuati dall’avvento della pandemia. Diverse delle opere invitano il pubblico a concepire la lettura come una esperienza più fisica che mentale, e mirano a instaurare una relazione tangibile con il lettore, invitandolo a ripensare le proprie abitudini.

Ha insistito molto anche sul tema dello spazio fisico, anche qui possiamo intendere come una corrispondenza postale sia ‘privata’ mentre una mail, o un media qualsiasi, è affidato alla rete, ovvero alla comunità virtuale? Il riappropriarsi di un proprio spazio rinnegando la condivisione tanto di moda?

Vorrei rispondere a questa domanda tramite il punto di vista di uno degli artisti coinvolti. Riguardo alla corrispondenza postale, David Horvitz sostiene di essere interessato all’idea di distanza, a quello spazio temporale e fisico che una lettera attraversa mentre va da una persona all’altra, mettendo in relazione due luoghi che sono unici, a differenza del web in cui un contenuto è solamente trasmesso ai possibili followers. La differenza tra relazione tra due luoghi unici e la trasmissione in rete è fondamentale per capire il profondo potenziale della corrispondenza.

La scelta dei sei artisti coinvolti come è avvenuta?

Le artiste e gli artisti coinvolti si distinguono per aver riflettuto lungamento sull’importanza della scrittura e sulle potenzialità intrinseche di una lettera. Inoltre, si occupano da sempre di tematiche che sono al centro di questa mostra, cioè l’intimità e il suo potenziale. Non bisogna dimenticarsi di questo aspetto: sicuramente a un primo sguardo si rimane affascinati dalla scelta di comunicazione delle opere, ma il cuore dell’iniziativa è aprire una riflessione sullo spazio intimo. Le artiste e gli artisti si occupano da anni di riproporre visioni alternative di amore (ad esempio Ingo Niermann e la sua idea di Completismo), di erotismo, di fragilità emotiva e di amicizia.

Una volta terminata l’emergenza pandemica, è possibile ipotizzare una esposizione fisica dei sei artisti negli spazi del MAMbo, un ulteriore modo per riconnettere la fisicità?

Nelle peculiari modalità in cui è stato concepito, consideriamo Dear you una vera e propria mostra, per questo non avrebbe senso riproporla nelle sale del museo. Il progetto è legato alla scrittura e alla lettura, due azioni che sono profondamente legate ad una esecuzione appartata e individuale. Bisogna trovare il giusto e spazio e luogo per intraprenderle, dalla propria camera alla panchina di un parco.

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