Il 25 aprile e i processi alla storia

Anche se sarà il secondo 25 aprile con celebrazioni a basso tono, possiamo essere certi che non mancheranno rievocazioni nostalgiche, polemiche, contromanifestazioni per celebrare o contestare la ricorrenza della Liberazione oppure per rivendicarne l’esclusiva. Magari lo fanno perché ricorrere al passato sposta l’attenzione su una mancanza di vuoti e contenuti del presente.

Ci sarebbe inoltre molto da discutere con chi ha una visione unidirezionale del 25 aprile 1945 ed invitarlo ad aprire qualche libro di Storia per prendere atto che quel giorno, nonostante l’iconografia classica faccia prevalere il colore rosso, le formazioni partigiane presenti rappresentavano tutte le posizioni antifasciste dell’epoca anche con visioni diverse tra loro. Ferruccio Parri ed Edgardo Sogno non possono certo essere definiti comunisti; la Brigata Osoppo era stata costituita all’interno di un seminario ed il suo comandante, Francesco de Gregori, zio e omonimo del cantante, era stato ucciso da partigiani comunisti circa tre mesi prima della Liberazione.

Ma dare giudizi e processare il passato sembra sia diventato uno sport fin troppo in voga tra gli opinionisti della Rete e anche da chi, arrogandosi il ruolo di giudice ed esecutore, ha anche abbattuto monumenti e simboli di chi non la pensava allo stesso modo e che non ha oggi la possibilità di difendersi o giustificarsi perché, magari, morto da secoli o decenni.

Abbiamo visto cadere i monumenti a Cristoforo Colombo e di un mercante di schiavi morto nel 1722 negli Stati Uniti dopo gli scontri successivi alla morte di George Floyd; il monumento a Indro Montanelli a Milano è stato vandalizzato ma, oltre a colpire i simboli visibili, i nuovi giudici della storia si sono rivolti anche alla letteratura e alla musica. Qualcuno ha sostenuto che non si dovrebbe più studiare Dante perché sessista, razzista e omofobo. Anche le opere di Virgilio e Shakespeare sarebbero da mettere al bando perché omofobe e sorte peggiore per qualcuno dovrebbe toccare a Via col Vento (ma si parla quasi solo del film e poco del libro), perché razzista e metterebbe in ridicolo i neri visti come stereotipi.

Una furia iconoclasta che resta sopita di solito a lungo per esplodere in ogni occasione di rievocazione o rilettura di un episodio storico o di una ricorrenza. Ovviamente le contestazioni vengono giustificate dal politically correct, vale a dire un criterio di lettura utilizzato da chi, a distanza di secoli o decenni, usando il proprio parametro della propria epoca, del suo vissuto personale, del progresso sociale e tecnologico che separa il fatto oggetto di giudizio dal momento della sentenza irrevocabile. Lo stesso che hanno fatto i fondamentalisti islamici dell’ISIS quando hanno distrutto, oltre al resto, le due statue del Buddha di Bamiyan che risalivano ad oltre millecinquecento anni fa ed erano ben precedenti alla nascita dell’islamismo.

Ha opportunamente fatto notare sulle pagine del Corriere Ernesto Galli Della Loggia che per valutare ed esprimere un giudizio sul passato non possiamo applicare i nostri attuali criteri morali che gli autoproclamati giudici applicano alla storia e non si pongono neppure la questione, in primis, di chiedersi che cosa avrebbero fatto loro se si fossero trovati, all’epoca, a dover fare una scelta di campo o anche solo decidere se vedere o meno un film. Tutti noi vorremmo dire che ci saremmo schierati  contro Hitler e Mussolini, ma non ci poniamo il problema di chiederci perché, in quegli anni, migliaia di persone scelsero in maniera diversa. Forse se qualcuno riuscisse a immaginare che cosa poteva essere l’esistenza di alcune classi sociali dell’epoca e che cosa avrebbero verosimilmente fatto se vi fossero nati.

Ma i giudici del passato difficilmente riescono a compiere un’analisi completa e considerare quello che era il momento storico caratterizzato dai suoi elementi culturali,  sociali, economici e così via. Tutto ciò porta non solo a non comprendere ma, ed è peggio, a non voler riconoscere il passato per poterlo solo giudicare e condannare nel presente. Un tipo di giudizio tipico di regimi dittatoriali che della Storia si sentono padroni così come chi oggi la giudica senza voler comprendere.

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