Comunismo e populismo

Gianni Dell’Aiuto ha dimostrato, con precisione,  in queste colonne perché il Comunismo, che era già fallito in tempi di economia basata sulla produzione agricola e industriale per ragioni che hanno a che vedere con la natura stessa dell’Uomo, e si regge in pochissimi Paesi solo sorretto da un ferreo sistema dittatoriale, è addirittura inconcepibili nella nuova economia, basata sulla libera e continua creazione e circolazione di idee.

Sono mille volte d’accordo. Ma bisogna aggiungere che al Comunismo si è sostituito, in alcune parti del mondo, un populismo altrettanto dannoso. Si tratta di un sistema che ripudia la razionalità, vive di promesse irrealizzabili, rispetta in apparenza le forme della democrazia e della libertà economica ma in realtà le corrode fino a renderle fantasmi.  La proprietà, il diritto d’impresa, ma anche la libertà di espressione e di critica, sono i suoi nemici da combattere (quando non si inventa, come spesso accade, un nemico esterno). Se l’economia va male per mancanza di fiducia e di investimenti, lo Stato deve sostituirsi al privato, i redditi di lavoro sono rimpiazzati da un sistema di sussidi e di aiuti che perverte il sistema economico, e quando finiscono i soldi da distribuire, lo Stato li stampa, producendo inflazione galoppante e scarsità di beni. L’esempio maggiore è il Venezuela di Maduro, ma purtroppo non è più il solo.

Il populismo ha tutti i disastrosi effetti economici del “socialismo reale”, ma non ha nemmeno quei pochi pregi che il Comunismo aveva: mantenimento dell’ordine, sicurezza interna, lotta alla droga e, in genere, un certo ripudio della corruzione, tutte cose che nei regimi populisti abbondano (come può reggersi Maduro se non comprando letteralmente l’appoggio dei militari?).

Mentre constatiamo la fine del Comunismo (che per alcuni comunque fu una non ignobile ideale di eguaglianza) constatiamo anche che il populismo, suo figliastro, è sotto certi aspetti anche peggiore.

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