Belli di papà (Film, 2015)

La mancanza di idee del cinema italiano contemporaneo – settore commedia – induce addirittura a realizzare remake di film messicani, come questo insulso Belli di papà di Guido Chiesa, la cui idea proviene da Nosotros los nobles. Vincenzo (Abatantuono), imprenditore di successo, è rimasto vedovo con tre figli ventenni – Matteo (Pisani), Chiara (Gioli) e Andrea (Di Raimondo) – che di fatto non conosce ma che soprattutto non stima, perché conducono un’esistenza priva di responsabilità e senza l’esigenza di guadagnarsi da vivere. Il suo trucco per far capire che al mondo si deve lavorare e serve impegnarsi consiste nel fingere una bancarotta fraudolenta della sua azienda con successiva fuga in Puglia, a Taranto, loro città natale, nella decrepita casa di famiglia. Tra problemi e difficoltà i ragazzi comprenderanno il senso della vita e stravolgeranno completamente le loro esistenze.

Il film sarà stato anche un successo della stagione cinematografica ma si manifesta a un occhio critico in tutta la sua pochezza, tra buchi di sceneggiatura e situazioni improbabili, fotografia televisiva e personaggi caricaturali. Forse è questo che al pubblico medio italiano oggi piace vedere al cinema, forse piacciono queste storie di ricchi arroganti che improvvisamente scoprono quanto sia bello sporcarsi le mani e fare le cameriere, i piazzisti o gli scaricatori in una città del sud. Forse è questo e se è così vi diciamo subito che noi non facciamo parte di quel tipo di pubblico. Certo, a volte si ride per le battute di un fiacco Abatantuono (in uno dei suoi ruoli peggiori) e per la bonomia di Catania, molto più spesso ci si irrita per il qualunquismo cafone di cui è intrisa la pellicola.

Matilde Gioli è bella e brava, ma meriterebbe di meglio di un personaggio che è la macchietta della giovane milanese snob; Andrea Pisani e Francesco Di Raimondo, idem, non se la cavano male, ma dialoghi e situazioni per loro scritte sono irritanti. Si salva la fotografia di Taranto, non quella giallo notturno che fa tanto cinema italiano contemporaneo, ma quella marina del porto e delle acciaierie che si stagliano in lontananza e occupano il panorama. La regia è anonima, la colonna sonora di Andrea Farri orecchiabile. Un film da vedere in televisione, abbastanza inutile, la cui morale è che i padri devono cercare di conoscere i figli per tempo, altrimenti i figli si perdono. L’eccesso lavorativo e l’egoismo sentimentale non sono valori positivi, questo si sapeva, anche se – come in questo caso – il primo serve a mantenere i vizi della prole. Una pellicola davvero modesta.

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Regia: Guido Chiesa. Soggetto: Giovanni Bognetti. Sceneggiatura: Guido Chiesa, Giovanni Bognetti. Fotografia: Federico Masiero. Montaggio: Luca Gasparini. Musiche: Andrea Farri. Scenografia: Paolo Sansoni. Costumi: Patrizia Chericoni. Produttore: Maurizio Tiotti, Alessandro Usai. Casa di Produzione: Medusa Film, Colorado Film, Mediaset Premioum, Crédit Agricole FriulAdria, Crédit Agricole Carispezia, Apuli Film Commission, Fondo per lo sviluppo e la coesione. Distribuzione: Medusa. Durata: 100’. Genere: Commedia. Interpreti: Diego Abatantuono (Vincenzo Liuzzi), Andrea Pisani (Matteo Liuzzi), Matilde Gioli (Chiara Liuzzi), Francesco Di Raimondo (Andrea Liuzzi), Marco Zingaro (Rocco), Uccio De Santis (Donato), Umberto Sardella (Rosario), Francesco Facchinetti (Loris Dettori Maggi), Antonio Catania (Giovanni Guida), Alessandro Genovesi (Rettore Casotti), Valeria Perri (Serena), Nicolò Senni (Carlo), Barbara Tabita (Anna), Nicola Nocella (Ferdinando), Nicola Conversa, Anna Madaro, Piero Madaro,Mirko Mastrocinque, Gabriele Boscaino, Davide Scialpi, Giorgio Consoli.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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