Diritto alla difesa e dovere di cronaca

Farà discutere molto la sentenza con cui il TAR del Lazio ha consentito l’accesso agli atti che hanno permesso alla trasmissione televisiva “Report” di mandare in onda un servizio con il quale un commercialista veniva indicato come il professionista di riferimento per attività di consulenza affidate dalla Regione Lombardia. Il professionista, sentendosi diffamato nella reputazione e nel dolore, al fine di potersi tutelare, chiedeva all’emittente nazionale una serie di informazioni e documenti per poter valutare azioni a propria difesa.

Al diniego della RAI il professionista si rivolgeva alla Magistratura Amministrativa con una serie di argomentazioni molto articolate; tra i motivi addotti a base del ricorso si trova anche quello secondo cui, trattandosi la RAI gestore di servizio pubblico, gli atti relativi alla fase di formazione del servizio andato in onda sarebbero di natura amministrativa e quindi non coperti dal segreto professionale che protegge le fonti dei giornalisti. In tal senso, espressamente, il ricorrente precisava di non chiedere accesso alle fonti indicando espressamente che potevano essere oscurate o altrimenti protette.

La RAI si difendeva sostenendo, tra l’altro, che per tutelarsi sarebbe stato sufficiente il servizio, reperibile on line; contestava poi la pretesa riconduzione dell’attività editoriale e giornalistica alla sfera dell’attività di pubblico servizio, oggetto del regime di accesso, differenziando le due attività e, ovviamente, opponeva il segreto professionale del giornalista.

Il TAR, dopo aver rigettato la richiesta di accesso civico, ha accolto la richiesta di accesso documentale in quanto la RAI, pur formalmente ente di diritto privato, “conserva indubbiamente significativi elementi di natura pubblicistica”, quali nomina di numerosi componenti del C.d.A. da un organo la Commissione parlamentare di vigilanza e l’indisponibilità dello scopo da perseguire.

Valutando le motivazioni addotte dal ricorrente, il TAR lo ritiene portatore di un interesse qualificato, connotato da requisiti di personalità concretezza ed attualità il servizio che lo ha coinvolto ha ad oggetto la sua attività professionale.

In tal senso i Giudici amministrativi hanno anche rilevato come non spetti a loro, né tantomeno alla RAI, una valutazione aprioristica sulla utilità in concreto a fini difensivi del ricorrente, del materiale utilizzato per il servizio.

Veniva rigettata anche l’eccezione della RAI di come l’attività oggetto della richiesta fosse da considerarsi estranea all’attività di servizio pubblico radiotelevisivo gestito dalla resistente.

Il punto saliente della sentenza, quello che sta già creando proteste e resistenze da parte della stampa e delle associazioni che la rappresentano, è la parte in cui il TAR aderisce alla prospettazione fornita dal ricorrente su come la sua figura sia stata evidenziata in negativo dal servizio sulla base di informazioni false e fuorvianti. I Giudici hanno quindi ritenuto che, in tal senso, debba essere concesso l’accesso agli atti connessi all’attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni relativi alle prestazioni di carattere professionale del ricorrente in favore di soggetti pubblici, confluite nell’elaborazione del contenuto del servizio di inchiesta. In particolare, dalle richieste rivolte in via scritta dalla redazione ad enti di natura pubblica in merito al conferimento di incarichi o consulenze al professionista, unitamente ai riscontri forniti dagli enti; tutti atti da consegnare.

La sentenza del TAR verrà impugnata sicuramente e chissà se la RAI metterà subito a disposizione del ricorrente gli atti prodromici alla realizzazione del servizio di Report.

La rete non è rimasta silente; già si sono alzate voci che gridano nei confronti di un provvedimento gravissimo che “viola la Costituzione, viola la libertà di stampa.” Un atto che, a detta di uno dei giornalisti coinvolti (ma non condannati a rivelare le fonti), paragona il lavoro giornalistico un atto amministrativo.

In attesa di una sentenza di secondo grado, e probabilmente anche di una pronunzia da parte della Corte di Cassazione, resta aperto il dibattito su quale sia la linea di confine tra diritto di cronaca e di difesa, nonché a quello di chiunque a non essere preventivamente condannato in via mediatica. Cosa accadrebbe, chiediamoci, se all’esito di un procedimento penale l’imputato venisse assolto?

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