Orario di lavoro: e se lo abolissimo?
Quando è nato l’attuale orario di lavoro? Da quando è stato stabilito, e da chi, che lo standard è dalle otto del mattino fino alle 17.00 in quasi tutto il mondo occidentale con alcuni possibili spostamenti. Su questo orario si è poi modellato anche quello scolastico e, allo stesso modo, in molte nazioni è consuetudine concentrare le vacanze per i più nel mese di agosto. Potrebbe cambiare questo schema? Forse la pandemia può contribuire a dare una spallata a questo schema consolidato ma che potrebbe essere riconsiderato. E non parliamo solo di smart working, ma di rivedere l’intero sistema.
Difficile individuare un preciso momento storico ma possiamo ritenere che da sempre il tempo dedicato al lavoro fosse quello delle ore di luce ed è del resto logico che, fin dai tempi antichi il tempo, scandito dalla rotazione della terra intorno al sole (anche se qualcuno pensava il contrario), portasse a svolgere le attività durante le ore di luce. Difficile invece che esistesse un orario prestabilito, fisso e da rispettare per i lavoratori. Probabilmente chi lavorava i campi iniziava non appena le prime luci lo permettevano e terminava quando l’oscurità impediva ogni attività, specialmente chi lavorava in proprio come artigiani o agricoltori. Non esistendo quelle che sono le moderne fabbriche viene da pensare che costruttori di templi e cattedrali, dovendo lavorare in squadra, terminassero il lavoro quando il buio iniziava a creare problemi.
In ogni caso diversi studi antropologici sostengono che l’uomo primitivo, quello che si limitava alla caccia e alla raccolta, lavorasse non tutti i giorni della settimana e da un minimo di 4,89 ore fino ad un massimo che mai raggiunge le otto ore, nonostante la percezione che potremmo avere che l’uomo lavorasse molto di più. Viene da chiedersi come impegnasse il molto tempo libero visto che non erano stati inventati internet, il calcio e neppure la televisione.
Possiamo indicare con la Rivoluzione Industriale verosimilmente l’inizio di una codificazione degli orari di lavoro che all’epoca erano anche di sedici ore continuative che si sono man mano ridotte in ogni luogo in cui i sindacati sono intervenuti fino all’attuale schema che può variare da nazione a nazione e che, molto semplicisticamente, per comodità espositiva e per avere dei margini, possiamo chiamare, 8-18 cinque giorni a settimana.
Su questo stesso orario si è modellato anche quello scolastico: qualcuno ha sostenuto che l’orario scelto delle ore del mattino per la scuola, permetteva ai figli di poter aiutare le famiglie nei lavori agricoli nel pomeriggio e di come le vacanze estive coincidessero con la stagione del raccolto e terminassero in autunno con la vendemmia e la spremitura delle olive. Sarebbe una vera alternanza scuola lavoro vista in questa prospettiva.
Ma oggi ha senso un orario di lavoro fisso e immutabile? Chissà se il Covid non ha solo accelerato un diverso modo di lavorare da casa. Per le imprese i risparmi portati da minori costi per consumi e spazi sono innegabili, mentre tra i lavoratori la possibilità di spalmare la propria attività da casa, magari potendo alternare alcuni momenti ludici, sembra aver trovato gradimento. Inoltre, in un mondo sempre più interconnesso si possono tenere presenti le differenze di fuso orario per le aziende, e sono sempre di più, che lavorano connesse con qualcuno che si trova dall’altra parte del globo.
Lavoro notturno o cottimo? Già immaginiamo levate di scudo da parte di sindacalisti e quella categoria stereotipata da Checco Zalone di “chi fa il posto fisso” che vuol dire per i più proprio la certezza dell’orario; ma è argomento con cui prima o poi ci si dovrà confrontare.
Tutto ciò potrebbe anche trovare applicazione nel mondo della scuola. Che male ci sarebbe a prevedere classi pomeridiane? Quando alcuni anni fa una scuola inglese lanciò le classi di pomeriggio le risposte italiane furono tutte negative ad una simile ipotesi, muovendo dalle diverse abitudini di vita. Ma i nuovi contesti globali, internet e un mondo sempre più piccolo dovrebbero indurre a profonde riflessioni proprio sugli stili di vita che, nei fatti, si stanno già, forse non troppo lentamente, modificando.
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