Il Libano in crisi

Il Libano, quella piccola Repubblica che in passato pareva un modello di prosperità e di buon senso – una specie di Svizzera del Medio Oriente – è da due anni in una crisi economica e politica che non fa che approfondirsi: caduta del PIL, svalutazione della moneta, che ha perduto il 90% del suo valore di fronte al dollaro, svalutazione incontrollabile, difficoltà di formare un governo stabile, dopo che vari incaricati hanno dovuto gettare la spugna anche per le tensioni fra il Primo Ministro (per regola un musulmano sunnita) e il Presidente della Repubblica, il cristiano-maronita Michel Aoun.

Ora, l’incarico di formare un governo è ricaduto su Naguib Makati, un miliardario sunnita considerato l’uomo più ricco del Paese, il quale ha già in passato guidato l’esecutivo per due volte, in realtà senza grandi risultati.

Ho vissuto vari anni in Libano in altri tempi, prima della lunga e sanguinosa guerra civile che ha portato danni incalcolabili. Già allora era possibile rendersi conto che, sotto le apparenze “svizzere”, il paese era estremamente fragile e quasi ingovernabile. Composto di varie etnie e gruppi confessionali, il precario equilibrio era possibile solo in assenza di questioni contenziose, sulle quali cristiani e musulmani hanno vedute e sentimenti incompatibili. Questo impossibile equilibrio è stato ripetutamente rotto dalla questione palestinese e dei rapporti con Israele, ma anche dalle pesanti interferenze siriane e iraniane. Per resistervi, sarebbe occorso un forte senso di nazionalità, che purtroppo non c’è, o la protezione di qualche grande potenza.

Questo ruolo è stato tradizionalmente tenuto da USA e Francia, ma ambedue ora subordinano il loro soccorso economico a un minimo di concordia interna e di serie riforme economiche e politiche. Che sembrano piuttosto improbabili.

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