Cronache dai Palazzi
Vaccinarsi non è un obbligo ma un dovere. Lo ha ribadito il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale. Il virus è soggetto a repentine mutazioni “si sta rivelando ancora più contagioso e “solo grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo”, ha sottolineato il presidente. Il vaccino, in pratica, “non ci rende invulnerabili, ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità”. Motivo principale per cui “la vaccinazione è un dovere morale e civico”.
Contro un virus pervasivo “che non è ancora alle nostre spalle”, ha sottolineato il presidente, è in atto un doppio binario, sul quale ci si è incamminati per poter uscire dal tunnel. Il primo binario è la campagna di vaccinazione, essenziale per l’immunizzazione di massa, il secondo binario è “la scelta di mettere in campo ingenti sostegni pubblici per contenere le conseguenze delle chiusure e dei distanziamenti a livello economico, produttivo e occupazionale”. È proprio su questo doppio binario che ha insistito Mattarella, ribadendo il sostegno agli sforzi dell’esecutivo e quindi rinforzando l’asse Quirinale-Palazzo Chigi. Le strategie dei due Palazzi sembrano procedere parallelamente e per certi versi confluire per quanto riguarda le questioni fondamentali. “Senza attenzione e senso di responsabilità rischiamo una nuova paralisi della vita sociale ed economica, nuove, diffuse chiusure; ulteriori, pesanti conseguenze per famiglie e imprese”, ha ammonito il capo dello Stato raccomandando ascolto e mediazione ma anche “decisioni chiare e efficaci, rispettando gli impegni assunti”.
La pandemia ha provocato ingenti disfunzioni in vari settori della vita sociale a partire dalla scuola, un ambiente in cui sono stati registrati “danni culturali e umani, con sofferenze psicologiche che impongono di reagire con prontezza e determinazione”. In pratica occorrerebbe tornare al più presto ad una comunità scolastica vissuta in presenza ma, nel contempo, è necessaria “una vita scolastica ordinata” ed avere l’obiettivo di “colmare le lacune che si sono formate”.
Tornare tutti in aula “dev’essere un’assoluta priorità” che sia gli insegnanti sia le famiglie devono “avvertire come responsabilità e dovere” a partire dai propri “comportamenti”, ha ammonito Mattarella. E anche nella scuola dovrà per necessità prevalere “il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva”.
Per la scuola occorrerà scongiurare la didattica a distanza fin dal primo giorno, si dovrà decidere a proposito dell’obbligo vaccinale per docenti, personale scolastico e studenti. Nel frattempo, mentre alcune parti politiche difendono “il diritto di tutti a entrare in classe senza distinzioni e senza esclusioni” – come ha affermato il leader della Lega, Matteo Salvini, non condividendo la vaccinazione obbligatoria per i ragazzi dai 12 ai 18 anni – è arrivata la decisione dell’Aifa che ha approvato l’impiego del vaccino Moderna sui 12-18 anni. Ma Salvini ribatte: “Le comunità scientifiche di mezza Europa dicono il contrario”.
Il piano del ministero dell’Istruzione ipotizza di raggiungere il 90 per cento degli insegnanti vaccinati e circa il 60 per cento degli studenti, in quanto l’immunizzazione, più del distanziamento e delle mascherine, è in grado di proteggere l’ambiente scolastico evitando ad esempio continui focolai di contagio da Covid che lo scorso anno hanno provocato ripetuti stop and go, mettendo a dura prova la salute di coloro che operano all’interno del sistema scuola ma, come è noto, anche la preparazione degli studenti. Tra le ipotesi non si esclude l’obbligo di vaccinarsi per il personale scolastico, così come è avvenuto per coloro che operano nella sanità. “Proveremo a persuadere chi non si è ancora vaccinato, ma gli insegnanti che non si faranno convincere saranno obbligati. Non possiamo compromettere il ritorno tra i banchi. Si tratta di avere senso di comunità”, ha ammonito il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa. Nello specifico sono circa 200 mila i docenti non vaccinati.
Il piano Scuola 2021, che il ministero sta mettendo a punto, prevede comunque anche per il prossimo anno scolastico l’uso della mascherina e il distanziamento, con la possibilità di superare la misura laddove sia possibile mantenere il metro di distanza. Ed ancora capienza dei mezzi pubblici all’80 per cento ed eventuale scaglionamento degli orari di ingresso.
In definitiva, gli esperti giudicano fondamentale la presenza fisica di studenti e insegnanti in classe, non solo dal punto di vista didattico ma anche come momento essenziale nel percorso di sviluppo psicologico e di strutturazione della personalità di bambini e ragazzi. L’obiettivo del piano Scuola è trovare un “bilanciamento tra sicurezza, benessere socio emotivo di studenti e personale della scuola, qualità dei contesti educativi e dei processi di apprendimento e rispetto dei diritti costituzionali alla salute e all’istruzione”.
Il decreto legge che doveva essere discusso nel Cdm del 29 luglio è stato in pratica rinviato di una settimana ed è quindi atteso per il 6 agosto. Dovrà tra l’altro prevedere l’obbligo del green pass per i trasporti a lunga percorrenza, proprio a partire dal 6 agosto. Nello specifico la certificazione verde riguarderà aerei, treni e navi ma non il trasporto pubblico locale, anche se le decisioni ultime dipenderanno dall’evoluzione della curva epidemiologica.
A proposito di green pass e le conseguenti decisioni che dovrebbero condizionare gli spostamenti degli italiani il presidente Mattarella ha sottolineato: “La libertà è condizione irrinunciabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus, non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo”. A proposito di vaccini e un eventuale obbligo non condiviso da tutti si può affermare: “Se la legge non dispone altrimenti, si può dire: ‘In casa mia il vaccino non entra’. Ma questo non si può dire per ambienti comuni, non si può dire per gli spazi condivisi, dove le altre persone hanno il diritto che nessuno vi porti un altro pericolo di contagi, perché preferiscono dire: ‘In casa mia non entra il virus’”.
Per quanto riguarda la riforma della Giustizia il nodo della prescrizione è stato sciolto. Per la ministra Cartabia la riforma mira a “garantire una giustizia celere” che sia caratterizzata dal “principio della ragionevole durata del processo che viene rispettato con l’introduzione dei limiti”.
Il premier Draghi ha ricordato che senza una riforma della Giustizia l’Italia difficilmente potrà beneficiare dei fondi miliardari del Recovery fund elargiti dall’Ue a ridosso della pandemia causata dal Coronavirus. Si tratta di “una riforma complessiva che dà credibilità all’Italia”, ha ribadito il presidente del Consiglio che ha difeso la struttura del testo concedendo però un regime speciale per i processi di mafia, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di droga. Per tali processi non c’è limite al numero di proroghe che però dovranno essere motivate dal giudice in base alla complessità del processo, e sempre percorribili in Cassazione. Esclusi inoltre dall’improcedibilità i reati puniti con l’ergastolo.
La norma concede di prorogare solo una volta il termine di durata massima del processo. In definitiva, in Appello i processi potranno durare fino a 2 anni di base, con un’eventuale proroga di un anno al massimo; in Cassazione, invece, un anno più un’eventuale proroga di sei mesi. La riforma prevede inoltre l’istituzione di un apposito Comitato tecnico scientifico presso il ministero della Giustizia, che ogni anno dovrà riferire l’evoluzione dei dati a proposito dello smaltimento dell’arretrato e sui tempi di definizione dei processi. Il Comitato dovrà anche monitorare l’andamento dei tempi nelle varie Corti d’Appello riferendo i risultati al ministero della Giustizia che dovrà, a sua volta, prendere eventuali provvedimenti, necessari sul fronte organizzativo e a proposito del buon funzionamento dei servizi. Il monitoraggio annuale verrà infine analizzato dal Consiglio superiore della magistratura che valuterà, in questo modo, la situazione degli uffici giudiziari e, in un’ottica macro, anche il buon funzionamento della riforma, formulando infine dei pareri utili eventualmente finalizzati al ripristino di funzioni più efficienti. La riforma della Giustizia entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025.
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