Nativi digitali, la generazione copia/incolla
Viene ormai data, e accettata, la definizione secondo cui per “nativi digitali” si intendono coloro che sono nati in un periodo in cui la tecnologia di computer, cellulari, tablet, era già diffusa e ne ha quindi iniziato l’apprendimento già in tenera età. Non è necessario, si noti, che vi sia anche l’insegnamento, magari con le dovute cautele da parte di chi dovrebbe rendere responsabili questi individui, principalmente il loro figli, del pessimo uso di una tastiera. Bambini piccoli vengono lasciati con in mano lo strumento tecnologico di un genitore, impegnato in altro e, con una serie di “toccatine,” possono comprare un divano su Amazon o inviare all’intera rubrica WhatsApp le foto di mamma nuda sotto la doccia. Fatti veri.
I nativi digitali possono essere considerati coloro che hanno da sempre avuto a disposizione strumenti con interfaccia digitale, vale a dire le finestre che si aprono su uno schermo comparse negli anni ’90. Possiamo quindi individuarli in tutti i nati approssimatamene dal 1990 in poi. Sono giovani soggetti che probabilmente non hanno mai neppure visto un vecchio schermo TV a tubo catodico ma solo quelli piatti; difficile che possano avere utilizzato un telefono con la tastiera a disco e, forse, mai hanno usato una cabina telefonica dovendo cercare prima un gettone. Dai racconti che si sentono in giro abbiamo la certezza che molti di questi giovanissimi hanno un telefono portatile già alle ultime classi delle scuole elementari per essere controllati da genitori iperprotettivi. Sul fatto che questi cellulari non vengano utilizzati per giochi, video o messaggi, nonostante le sicure raccomandazioni dei genitori, sorgono forti dubbi. Ad esempio, per entrare in una chat anonima come Omegle è sufficiente mentire sull’età con un click e TikTok, il social dei giovanissimi, nonostante le rassicurazioni, non è certo molto efficace nel controllare l’età di chi posta e vede video di ogni genere.
Possiamo guardare con sana nostalgia i bei tempi di una volta, in cui per fare una ricerca scolastica era necessario prendere in mano le enciclopedie che venivano comprate a rate in famiglia; oggi il nostro nativo digitale ha a sua disposizione lo strumento del copia incolla saltando da un sito internet all’altro oppure fermarsi solo su Wikipedia e limitare a quella pagina, su cui tutti possono scrivere, il proprio sapere.
Forse questa generazione non prenderà mai in mano una penna finché non realmente obbligata dalle circostanze o da qualche insegnante che lo esigerà a differenza di chi chiede che i lavori scritti vengano stampati “perché non si legge bene la calligrafia” e magari non si muoveranno obiezioni se qualcuno scriverà xkè invece del normale “perché” muovendo dall’assunto che ormai può essere usato da quando qualcuno lo inventò per gli sms sui cellulari di vecchia generazione. Quelli che non si scaricavano mai ed erano considerati l’ultimo insuperabile sviluppo tecnologico degli anni 90.
Per tornare comunque ai nativi digitali, diamo atto che sono stati chiamati non a caso la generazione copy-paste, o copia incolla a seguito di studi condotti su di loro nei quali è stata posta in luce anche la differenza nelle possibilità di accesso e di apprendimento, più o meno autodidatta, degli strumenti tecnologici anche in comparazione con l’incredibile velocità a cui questi si evolvono.
Le loro principali caratteristiche? Possiamo prenderne due, tra le più evidenziate dagli studi, come dati di fatto. La prima è una tendenza all’individualismo e, possiamo aggiungere, all’autoisolamento in un loro mondo virtuale in cui i social hanno un peso rilevante e all’interno del quale i giovani trovano la loro dimensione di comfort. La seconda è un senso di realismo che nasce dall’incertezza sul futuro, aumentata anche a seguito della pandemia, che li porta a chiudersi sempre più in una realtà facile e di tranquillità individuale.
Le conseguenze possono ripercuotersi anche nel lungo termine e a più livelli; se da un lato si può sperare in una maggiore confidenza delle prossime generazioni con quelli che saranno sempre più strumenti di lavoro, dall’altro aumentano gli studi sulle dipendenze da social e salute mentale. Difficile trovare punti di bilanciamento.
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