Polexit?

Una nuova crisi minaccia l’Unione Europea, con la recente decisione di una Corte polacca che sentenzia che le leggi europee non hanno supremazia su quelle nazionali fondate sui principi costituzionali. Non si tratta di un legalismo astratto: la prevalenza della legislazione europea su quella interna è un principio fondatore e decisivo dell’integrazione. Chi lo rifiuta, in realtà rifiuta la sovranazionalitità dell’Unione, che è alla base di tutto. Per questo, gli esperti parlano di una “Polexit” legale. Dietro la decisione della Corte, largamente influenzata dal governo in carica a Varsavia, c’è ovviamente una visione ideologica di estrema destra. E difatti Orban e la Meloni si sono affrettati ad appoggiarla.

La Commissione Europea ha reagito per ora con fermezza di toni, annunciando una rapida risposta, ma è troppo presto per sapere cosa farà in concreto. Il rimedio legale, cioè citare la Polonia davanti alla Corte di Giustizia, è ovviamente possibile, ma difficilmente avrebbe risultati positivi.

Più concreta è la possibilità di bloccare i fondi europei (quasi 50 miliardi di euro) previsti per la Polonia dal Piano Recovery. Ma è da augurarsi che dalle sue parti si proceda con equilibrio e buon senso perché non si arrivi a una rottura aperta e completa. La ragione farebbe pensare che la Polonia non possa permettersi di affrontare una crisi che la porti all’isolamento. Non è la Gran Bretagna, non ne ha la capacità né, penso, le illusioni di grandezza e non ha alternative, avendo sul collo il fiato della Russia, salvo aggrapparsi agli Stati Uniti, in una fase in cui il loro impegno per l’Europa può essere messo in dubbio.

E proprio mentre Francia e Germania, e chi ragiona in Italia, comincia seriamente a pensare alla necessità per l’Europa di dotarsi di una capacità di sicurezza e di difesa il più possibile autonoma. Ma questo è un tema molto complesso, su cui tornerò in una prossima nota.

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