Camera di Consiglio

LO SFRATTO PER MOROSITA’ NEI CONTRATTI DI LOCAZIONE COMMERCIALE – Con una recentissima sentenza, la Suprema Corte interviene sulla procedura di sfratto per morosità nei contratti di locazione ad uso commerciale.

La vicenda trae origine da un ricorso promosso dalla conduttrice di un immobile, che aveva ricevuto intimazione di sfratto e contestuale citazione per convalida per il mancato pagamento dei canoni di locazione per il periodo tra settembre 2015 e febbraio 2016. Opponendosi ritualmente, adducendo l’assenza di un inadempimento solutoriamente rilevante, poiché aveva già sanato  la morosità prima dell’udienza di comparizione, il Giudice rigettava il ricorso del proprietario. In secondo grado, la sentenza veniva riformata poiché il pagamento successivo al deposito del ricorso non veniva considerato rilevante ai fini solutori.

La Suprema Corte interveniva, affermando che, in caso di locazione ad uso non abitativo, le controversie devono essere risolte con riguardo all’art. 1455 c.c., il quale rimette al Giudice la valutazione della ricorrenza di un inadempimento (grave) che possa rilevare dal punto di vista della risoluzione del contratto. Tuttavia, non è da escludersi che il Giudice, possa trarre dall’art. 5, L. n. 392/1978, che disciplina i contratti di locazione ad uso abitativo, secondo il quale: “il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1455 del codice civile”.

La Corte d’Appello, nel caso di specie, aveva ricordato l’esistenza di due filoni interpretativi: il primo, superato, secondo il quale ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento si dovrebbe attribuire attribuiva rilievo all’inadempimento in sé considerato, senza alcun apprezzamento dell’interesse del contraente deluso, ed un secondo, che impone l’accertamento, caso per caso, del fatto che l’inadempimento sia stato così grave da alterare il sinallagma contrattuale.

La “gravità dell’inadempimento” deve essere determinata da parametri oggettivi, ossia il peso concreto dell’inadempimento nel rapporto contrattuale, con riferimento al tempo trascorso e l’entità della somma da corrispondere.

Inoltre, ai fini dell’inadempimento,  nei contratti di durata trova applicazione la regola secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva: ciò significa che,  come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla. Invero, nel contratto di locazione trova applicazione la regola secondo cui il conduttore può adempiere anche dopo la proposizione della domanda, e l’inadempimento precedente rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità.

Il Giudice, pertanto, deve valutare la gravità dell’inadempimento del conduttore anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda di risoluzione, in quanto nei contratti di durata, la parte che ha richiesto la risoluzione stessa, ha comunque interesse all’adempimento dell’altra parte, sino alla riconsegna del bene immobile.

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