Quale legge elettorale?
Le prossime settimane potrebbero essere decisive per la nuova legge elettorale. Facciamo gli scongiuri. Ma quale legge? Le formule sul tavolo, alcune un po’ pasticciate, sono varie, ma una buona legge elettorale dovrebbe permettere una rappresentanza equa delle forze politiche, almeno quelle di un certo peso, ed insieme produrre maggioranze in grado di governare. Non c’é bisogno di dire che la proporzionale pura, sulla carta vigente in Italia dopo la sentenza della Corte Costituzionale, è una ricetta sicura di ingovernabilità. Cosi non è stato nel lungo periodo democristiano perché c’era la DC e attorno a lei un’alleanza abbastanza omogenea e maggioritaria. Ma oggi, se si andasse a votare con quel sistema, si riprodurrebbe una situazione di stallo, per cui si dovrebbero rifare Governi di coalizione o andare indefinitamente a votare. Perché ci sono troppo partiti e l’elettorato è più o meno diviso per tre: una formula ideale per Grillo, il quale infatti la sostiene.
Vediamo come hanno affrontato il problema le maggiori democrazie occidentali. In America e in Gran Bretagna vige un sistema maggioritario “secco” (cioè a un solo turno). In ogni collegio vince chi ha più voti. Ciò permette la “governabilità” senza violare il principio dell’equa rappresentanza giacché, in quei Paesi, di partiti ce ne sono due.
Maggioritario è anche il sistema francese, ma “a doppio turno”. Ciò impone, al secondo giro, una scelta tra i due maggiori partiti, con il risultato di assicurare maggioranze omogenee (la governabilità è assicurata dal sistema presidenziale). Tutto questo fu voluto da De Gaulle proprio per riparare i guasti che, anche in Francia, produceva il moltiplicarsi dei partiti. In Italia, come accade in Francia, il sistema taglierebbe fuori le forze estreme di destra e di sinistra (e i grillini, comunque li si giudichi e dovunque li si collochi), e comprimerebbe il centro, favorendo PD e FI, ma se si vuol essere fedeli al bipolarismo e all’alternanza è la via maestra.
Vediamo brevemente i modelli tedesco e spagnolo. In quello tedesco, l’elettore esprime due voti: il primo è per la scelta del candidato nei collegi uninominali; il secondo è per il partito. Quest’ultimo è il più importante perché determina su scala nazionale le percentuali con cui ogni partito sarà rappresentato nel Bundestag (il Bundesrat è eletto dai Governi regionali). Poi vengono scelti gli eletti sulla base della rispettiva percentuale di voti ottenuti. Dei 599 membri della Camera, 399 sono scelti su questa base, gli altri su liste bloccate designate dai partiti. Un correttivo al calcolo proporzionale è dato dalla soglia di sbarramento (5%) e soprattutto dal fatto che in lizza sono due grandi partiti e alcuni possibili alleati rispettivi (ma nel 2013 nessuno ha superato la soglia di sbarramento). Ma il sistema, come si è visto, talvolta impone la “Grande Coalizione”.
Il modello spagnolo è maggioritario al Senato e proporzionale alla Camera (che ha le vere funzioni “politiche”). Per essa, la Spagna è divisa in cinquanta circoscrizioni elettorali, pari alle province, che eleggono in media sette deputati ciascuna. Il calcolo delle percentuali si fa su base strettamente provinciale, per cui i risultati sono influenzati dalla concentrazione di forze dei singoli partiti nei grandi collegi. Forse per questo piace a Berlusconi, che sa o spera di poter contare su un buon bottino di voti al Nord. O forse anche perché prevede liste bloccate, che a lui vanno benone. C’è il correttivo della soglia di sbarramento (3%) ma l’elemento decisivo sta nel fatto che anche in Spagna a ci sono solo due grandi partiti “nazionali”, PP (centro-destra) e PSOE (centro-sinistra). più un terzo minore (post-comunista, potenziale alleato dei socialisti) e due partiti a base regionale (in Catalogna e nelle Province Basche). Eppure anche in Spagna la proporzionale rende di norma necessarie coalizioni di vario tipo.
Da noi, sepolta la proporzionale anche per effetto di un referendum, è esistito per qualche tempo il c.d. “Mattarellum”, che combina sistema maggioritario (per due terzi dei collegi) e proporzionale (per un terzo, su liste bloccate). In sé è equilibrato, ma non garantisce maggioranze omogenee. Piace a Grillo (in alternativa alla proporzionale), perché permetterebbe al M5S di non essere completamente tagliato fuori da un sistema puramente maggioritario, e non dispiace a Berlusconi perché gli fa sperare in un risultato in cui il PD da solo non abbia la maggioranza.
Circola, infine, un oggetto misterioso, il “Sindaco d’Italia”. A quanto pare, si tratterebbe del “doppio turno di coalizione”, magari con sbarramento (inutile) e premio di maggioranza (forse utile). È ovvio che piaccia a NCD, perché rende importante il suo apporto in una coalizione di centro-destra, come ha certo in mente Alfano. Da me, centrista accanito, niente da obiettare, se non che le “coalizioni” di centro-destra o centro-sinistra si sono dimostrate fin qui semplici ammucchiate per vincere le elezioni, ma incapaci di governare seriamente (non era difficile immaginarselo: come si possono tenere insieme Lega e AN, SEL ed ex DC?). Altra cosa è un vero, grande Centro di tipo Popolare. Se però il bipartitismo e il doppio turno alla francese fossero da noi geneticamente impossibili, avanti pure col doppio turno all’italiana. E se tutto manca, con il Mattarellum. Purché si decidano!
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