I negoziati sul nucleare iraniano
Il 29 novembre riprendono a Vienna i negoziati sull’accordo nucleare iraniano. Come si ricorderà, l’accordo, concluso con grande fatica al tempo dell’amministrazione Obama, fu poi sconsideratamente cancellato da Trump che aumentò le sanzioni all’Iran, con il plauso del suo amico Netanyahu, allora PM israeliano. Nonostante gli sforzi degli altri partecipanti occidentali (UK, Francia, Germania, UE), l’accordo fu praticamente accantonato e l’Iran ha profittato di tutti questi anni persi per proseguire l’arricchimento dell’uranio indispensabile per l’atomica.
Ora sono cambiati i personaggi centrali: Biden ha fatto della riconduzione dell’accordo un tema delle sue promesse elettorali, Netanyahu non c’è più. In Iran è strato eletto un radicale, certamente più estremista del predecessore Rohani, ma alcuni esperti occidentali pensano che questa posizione gli consenta mano più libera nei negoziati.
Gli occidentali hanno fretta di concludere la trattativa, perché molti segnali indicano che Teheran è ormai pericolosamente vicina al possesso dell’arma atomica, e Israele ha fatto sapere agli alleati che non resterà a lungo con le mani in mano ed è in grado di condurre un attacco contro le centrali iraniane. Gli ostacoli però restano grandi: Teheran chiede la totale rimozione delle sanzioni USA e la sicurezza che l’accordo sarà mantenuto in futuro dagli Stati Uniti. Ciò va al di là del volere dello stesso Biden, ma richiede una ratifica del Congresso e soprattutto di un Senato in cui i Democratici sono, in realtà, in parità con i Repubblicani. Senza parlare di quello che potrà avvenire tra un anno, nelle elezioni legislative di mezzo termine.
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