Camera di Consiglio
LA CASSAZIONE RITORNA SULL’ADOZIONE “MITE” – E’ bene ricordare che la legge italiana riconosce l’adozione legittimante, con la quale il minore dichiarato ed accertato essere in stato di abbandono, poiché privo di assistenza morale o materiale da parte dei genitori, acquista lo status di figlio nato dal matrimonio della famiglia adottante, recidendo, in tal modo, ogni rapporto con la famiglia di origine.
Tale tipologia di adozione, alla luce della giurisprudenza europea, e, ad oggi, della Suprema Corte, deve essere considerata quale “extrema ratio”, ossia l’ultima soluzione utilizzabile qualora non ve ne siano altre. La rottura dei legami con la famiglia originaria in modo definitivo, sulla scorta delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo deve essere, dunque, una soluzione residuale, da adottare solo nei casi in cui vi sia una oggettiva ed irreversibile incapacità di cura da parte dei genitori.
La Giurisprudenza di Legittimità aveva già aperto alla c.d. “adozione mite”, della quale la Suprema Corte, con sentenza n. 35840/2021, fornisce accurata definizione. Secondo il supremo Collegio l’adozione mite troverebbe il suo fondamento nella previsione dell’adozione “in casi particolari”, di cui alla norma dell’art. 44, lett d), l. n.184/1983, secondo la quale “ I minori possono essere adottati anche […] quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. E tale clausola va interpretata sia come “clausola aperta e di chiusura del sistema”.
La Corte, sopra ogni cosa, richiamava la sentenza della Corte Costituzionale n. 383/1999 secondo la quale il principio cardine delle procedure di adozione in casi speciali è rappresentato dal “best interest” del minore, al fine della “effettiva realizzazione dei suoi interessi”, da valutarsi caso per caso.
L’adozione mite, infatti, si struttura in modo completamente differente, sia nei presupposti, che negli effetti, dall’adozione piena o legittimante. Con quest’ultima, si ripete, viene costituito un rapporto del tutto sostitutivo a quello “di sangue”: il minore, infatti, viene definitivamente ed esclusivamente inserito in una nuova famiglia.
Al contrario, l’adozione mite, o in casi speciali, crea, invece, “un vincolo di filiazione giuridica che si sovrappone a quello di sangue, non estinguendo il rapporto del figlio con la famiglia di origine, pur se l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta all’adottante”.
Orbene, in tali casi, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta all’adottante, ma il minore non recide i rapporti con la famiglia di origine. Questo modello sembra adattarsi al meglio per la tutela dei minori in casi di abbandono “semipermanenti o anche ciclici”, in cui, di fronte ad una fragilità della responsabilità genitoriale si associa, comunque, un rapporto affettivo significativo.
Ed in tali casi, dunque, per la persecuzione del miglior interesse del minore, è bene che il bambino manrtenga dei rapporto sia di fatto che giuridici con la famiglia di origine.
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