1950-1960, Bologna in moto
In occasione della mostra “Moto bolognesi degli anni 1950-1960. La motocicletta incontra l’automobile” in programma dal 17 ottobre 2021 al 15 maggio 2022 presso il Museo del Patrimonio Industriale, Bologna, abbiamo intervistato il dott. Antonio Campigotto (curatore mostra, Museo del Patrimonio Industriale – Istituzione Bologna Musei). La Mostra è stata realizzata con il contributo di Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale e Fondazione Aldini Valeriani. Dai primi anni Duemila il progetto ‘Moto bolognesi’ costituisce uno dei principali ambiti verso cui si è indirizzata l’attività di ricerca del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, istituzione culturale votata allo studio, alla documentazione e alla divulgazione della storia economico-industriale della città e del suo territorio, attraverso la ricostruzione delle vicende succedutesi dall’affermarsi dell’industria serica nel XV secolo fino all’odierno distretto meccanico della motoristica e dell’automazione protagonista su scala mondiale.
Dott. Campigotto, vedo che già l’entrata al Museo ci accoglie con un pezzo incredibile come questa sorta di antesignano delle moto a 3 ruote di adesso.
Si tratta del Mivalino, della ditta bresciana MI-VAL, che noi presentiamo perché il fondatore era il bolognese Ettore Minganti, fratello minore di Giuseppe, titolare della celebre azienda produttrice di macchine utensili, che durante la guerra era stata delocalizzata in Val Trompia. La Minganti era poi tornata a Bologna, ma Ettore era restato, con una sua impresa, producendo dapprima macchine utensili a marchio Mi-Bo, poi allargando l’attività al campo motoristico come MI-VAL avvalendosi, almeno nel periodo iniziale, di maestranze bolognesi.
Com’è nato il Museo?
L’idea nasce all’inizio degli anni Ottanta, aderendo alla richiesta del Comune di studiare la storia dell’Istituto Aldini-Valeriani ed il suo rapporto con il tessuto produttivo della città. All’interno del forno Hoffman della ex fornace Galotti, sede del Museo del Patrimonio Industriale, abbiamo una vasta esposizione di strumenti, apparati didattici e macchine che ne sono la testimonianza. L’istituto Aldini-Valeriani nel secolo scorso ha svolto un ruolo fondamentale a favore dell’istruzione tecnica, formando personale e maestranze professionali che hanno fatto la fortuna della meccanica bolognese. Qui sono esposte molte macchine utensili provenienti dalle officine dell’Istituto, altre realizzate da aziende famose che le fornivano a scopo didattico, come Calzoni e Barbieri, insieme a dei prototipi di IMA, ACMA, GD e tante altre nel settore del packaging.
Vedo anche tante altre tipologie di macchinari.
Innanzitutto, il modello funzionante di una macchina straordinaria, il mulino da seta, proveniente da Lucca, dov’era movimentato a mano, mentre a Bologna viene introdotta la ruota idraulica. La storia dei canali, che oggi scorrono sotterranei, è straordinaria, come lo è il rapporto tra la città e l’acqua. Bologna, è caratterizzata da una forte inclinazione nord-sud, che favorisce lo scorrere dell’acqua. Risale al XIII secolo la decisione di dotare la città, che era priva di corsi d’acqua, di una rete di canali artificiali. Normalmente le città nascevano e si sviluppavano dove si trovava l’acqua. A Bologna, invece di spostarsi, il Comune decise di portare l’acqua in città attraverso i canali di Reno e di Savena. L’acqua servì nel corso dei secoli per movimentare le ruote di svariate attività produttive, come i mulini da grano, ma soprattutto i mulini per la lavorazione della seta, che fecero di Bologna una capitale europea di questo settore. Tutto finì con Napoleone, che a Bologna requisì i magazzini con il prodotto, ma che più in generale determinò anche la fine commerciale dei veli di seta. E’ in quell’epoca, infatti, che viene introdotta la moda.
L’idea di studiare le moto bolognesi come è nata?
Il progetto “Moto bolognesi” è iniziato nel 2003 e quella in corso è la settima mostra che facciamo. Quattro hanno preso in considerazione dei periodi storici, anni Venti, 1930-1945, immediato dopoguerra e, oggi, decennio 1950; tre sono state dedicate ad importanti marche come M.M., C.M, Italjet. Abbiamo studiato questo settore, che nessuno aveva indagato nella sua complessità, arrivando a individuare 98 case costruttrici attive dal 1904 al 1960. Un fenomeno di grande rilevanza, dal punto di vista numerico, secondo solo alla realtà torinese, ma qui caratterizzato da un grande fermento, anche per la presenza di una miriade di officine attive nella componentistica.
E poi arriviamo al motivo del nostro incontro, la Mostra Moto Bolognesi degli anni 1950-1960.
Gli anni del dopoguerra sono stati ovviamente difficili, dal punto di vita economico, ma a partire dal 1950 era iniziata una ripresa che riguardava sia gli aspetti sociali, che quelli produttivi, con una forte crescita, che si concretizzerà poi, alla fine del decennio, nel boom economico. La produzione motociclistica a Bologna, come del resto in Italia nello stesso periodo, è incentrata soprattutto sulle piccole e medie cilindrate, 48, 98, 125, 175 cm3, tenendo conto delle crescenti disponibilità economiche degli acquirenti. C’è poi il fenomeno degli scooter, iniziato già alla fine degli anni Quaranta, con Vespa e Lambretta che hanno un successo di vendita incredibile, arrivando fino al 20-25% del totale dei motocicli circolanti. Persino la Ducati realizza uno scooter, il Cruiser qui esposto, molto bello esteticamente, disegnato da Ghia, e con delle soluzioni tecniche di avanguardia, ma che non ottiene però il successo sperato.
Oltre alle moto vedo anche una parte multimediale.
Abbiamo 7 filmati d’epoca dell’Istituto Luce dedicati al Motogiro d’Italia, la famosa gara a tappe organizzata da “Stadio” con partenza ed arrivo a Bologna, e ad altre manifestazioni motoristiche degli anni Cinquanta, 3 schermi per la visione di foto e documenti storici. Il tutto a corredo di 32 modelli di moto, di 17 marche diverse, sia restaurate che conservate. A questo riguardo si confrontano due concetti diversi di collezionismo: coloro che preferiscono le moto restaurate completamente, riportate allo stato di nuove, altri che, invece, hanno voluto conservarle nonostante i segni lasciati dal tempo, per mantenere i loro tratti originali.
Trovare gli oggetti da mettere in mostra non deve essere facile.
Sono tutte moto provenienti da collezioni private, tranne il Mivalino del Motor Museum Umberto Panini di Modena e tre del Museo Ducati, una delle quali da corsa, che sarà sostituita ogni mese con un nuovo esemplare. Il rapporto con il collezionismo privato è ormai consolidato, favorito anche dal fatto che in regione abbiamo molte bellissime collezioni, grandi e piccole. Fondamentale è stato fin dall’inizio del progetto l’apporto di conoscenze, documentazione e rapporti personali di Enrico Ruffini, una autorità riconosciuta nell’ambito della storia del motociclismo bolognese.
Vedo anche una postazione multimediale molto bella e interessante.
Serve a fornire al visitatore le informazioni più significative relative alle 98 ditte costruttrici di moto a Bologna dal 1904 al 1960, scorrendo vari menu di accesso. Un vero e proprio archivio storico che verrà aggiornato man mano che si renderanno disponibili ulteriori dati e documenti.
[NdR – Si ringrazia l’Istituzione Bologna Musei per la disponibilità e l’assistenza]
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