Dalla prima alla seconda Repubblica

Partiamo da un presupposto: la definizione di prima e seconda repubblica in Italia è un’invenzione di comodo giornalistica per individuare un momento storico in cui il nostro parlamento è stato completamente rivoluzionato rispetto alla configurazione che aveva al momento della sua nascita. I partiti che per quaranta e più anni avevano dominato la scena politica nazionale erano venuti meno e nuove formazioni si affacciarono alla ribalta ma, non dimentichiamolo, l’assetto costituzionale della Repubblica rimase quello precedente così come la figura del Presidente in carica e delle figure istituzionali non elettive da parte del popolo. Non vi fu quindi quella discontinuità che permette in Francia di individuare le Repubbliche che si sono succedute e in Germania i Reich.

Il 16 gennaio 1994, l’anniversario è a pochi giorni, probabilmente inconsapevole degli sviluppi successivi, il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro sciolse le camere. Presidente del Consiglio era Carlo Azeglio Ciampi che era stato chiamato dallo stesso Scalfaro nel 1993 per fare fronte ad uno tsunami politico inimmaginabile. Le inchieste di Mani Pulite (altro termine inventato da un giornalismo che mira al sensazionalismo e generalizza fenomeni più complessi) avevano decapitato i vertici dei partiti politici del cosiddetto Arco Costituzionale. Andreotti e Craxi erano stati destinatari di avvisi di garanzia che li avevano tagliati fuori da ruoli istituzionali; il primo riuscì a uscire dalle vicende giudiziarie dopo anni di dibattimento mentre il secondo ne venne travolto. Ciampi, primo presidente del consiglio non parlamentare dette una risposta felicemente molto “politica”: non soltanto salvando il Paese dalla bancarotta, ma affrontando i problemi del momento, raggiungendo un accordo tra le parti sociali e permettendo il varo della nuova legge elettorale, assicurando così una transizione pacifica verso nuovi assetti politici, richiesti con evidenza dal precedente referendum popolare. Sono parole di Sergio Mattarella in una sua intervista.

Le precedenti elezioni politiche del 1992 avevano visto la Democrazia Cristiana al minimo storico e il PDS (infelice acronimo scelto dall’allora segretario Occhetto per cercare di dare una nuova facciata all’obsoleto Partito Comunista che aveva cercato di una nuova veste dopo aver assistito al fallimento del comunismo travolto nel 1989), non ottenne i risultati sperati, bloccato dalle forze zavorriste di Rifondazione che, facendo leva sui nostalgici di falce e martello, impedirono alla sinistra di avere una maggioranza anche solo relativa in parlamento. La decima legislatura iniziò con il Governo Goria, seguito da Ciriaco De Mita e concluso con le due ultime esperienze di Andreotti; il parlamento era a dir poco frammentato e avevano fatto il loro ingresso La Lega Nord e la Rete di Orlando. Era il tramonto del Pentapartito che aveva dominato la scena politica negli anni precedenti. Nel frattempo vi erano stati gli attacchi della mafia allo Stato e l’elezione di Scalfaro alla presidenza della Repubblica sull’emozione della strage di Capaci. La sua decisione di sciogliere le camere dopo due soli anni dalle precedenti elezioni, aprì scenari nuovi, primo tra tutti la nascita di Forza Italia, partito azienda che rappresentò la vera novità del momento.

Il Parlamento che si presentò dopo il voto vide una schiacciante vittoria del centrodestra e, da allora, si è assistito ad un sostanziale bipolarismo venuto meno con l’avvento del Movimento Cinque Stelle e con la nuova versione della Lega (non più solo Nord). Ma questo è il quadro politico attuale che ben potrebbe dare spunto ad un giornalismo generico di parlare della Terza Repubblica.

Ciò che avvenne nel 1994 fu il venir meno dei partiti nati dalla resistenza e che da allora avevano offerto all’elettorato italiano l’immagine di un buon rifugio di idee e personalità che, oggi non possono certo tornare ma di cui, forse, si avverte l’assenza in uno scenario politico soggetto che si modella sui mal di pancia e sulla prevalenza dei click online del momento. In altre parole non esistono solide basi ideologiche, programmi, idee per riforme strutturali.

La Repubblica finita nel 1994 era probabilmente esausta, obsoleta, da rinnovare; ma quella attuale non sembra avere basi per poter governare il futuro, vittima e prigioniera dei mal di pancia dei movimenti quotidiani.

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