Cronache dai Palazzi

È tutto pronto per l’elezione del prossimo capo dello Stato. La prima seduta per l’elezione del presidente della Repubblica è fissata per lunedì 24 gennaio. Nelle prime tre votazioni è richiesta la maggioranza dei due terzi dell’Aula, ossia 673 grandi elettori. Dalla quarta votazione la soglia per essere eletti al Quirinale scende a quota 505 voti. “Il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri”, spiega l’articolo 83 della Costituzione italiana, definendo l’iter per l’elezione del capo dello Stato alla quale, inoltre, “partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze”. La Valle d’Aosta ne ha solo uno.

Nonostante circoli la voce di un Mattarella bis, il capo dello Stato uscente è convinto che il doppio mandato sia “un errore”, davvero l’ultima scialuppa di salvataggio solo nel caso in cui la nave Italia stesse per naufragare.

Sergio Mattarella ha ricordato la fine del suo mandato anche durante il suo ultimo appuntamento pubblico, l’inaugurazione dell’anno giudiziario, in cui il presidente della Suprema corte ri-nominato, Pietro Curzio, ha ringraziato il presidente Mattarella per il suo mandato oneroso e fitto di eventi fondamentali che hanno caratterizzato la Storia repubblicana, esprimendo queste parole: “La Cassazione è onorata di chiudere con lei un settennato tra i più autorevoli della Repubblica”. Il giorno precedente, in occasione del plenum del Consiglio superiore della magistratura, il vicepresidente del Csm David Ermini, aveva elogiato Mattarella per essere stato “esempio di etica istituzionale e fermo sostegno nei momenti più amari”.

A proposito della situazione della magistratura il vicepresidente Ermini ha sottolineato che “sono stati tre anni e mezzo assai difficili, travagliati e dolorosi. Per questo Csm e per la magistratura, la cui credibilità e prestigio sono stati colpiti in profondità compromettendo il rapporto di fiducia con i cittadini che è alla base della legittimazione democratica della funzione giurisdizionale”. Ermini ha inoltre sottolineato la necessità di “regole e comportamenti nuovi”, l’urgenza delle riforme “indifferibili e irrinunciabili”. A proposito di riforme la ministra della Giustizia Marta Cartabia, illustrando all’Aula di Montecitorio gli interventi compiuti e quelli ancora da realizzare, ha ringraziato tutti i partiti definendo “figlie della responsabilità” le riforme portate a termine.

“Il cammino delle riforme della giustizia è stato un cammino non sempre lineare – ha affermato la Guardasigilli – ma è stato un cammino possibile perché sorretto dalla comune responsabilità per l’interesse del Paese, sempre alla ricerca di una equilibrata sintesi. Di questo ringrazio di nuovo, sentitamente e pubblicamente, tutte le forze politiche”, ha affermato Cartabia assicurando di voler continuare ad impegnarsi “per accelerare il corso di questa riforma e sollecitarne l’esame da parte dei competenti organi del governo”, in un’ottica di “implementazione” del lavoro svolto fino ad oggi “con la collaborazione di tutti”.

Nuove regole sulla presunzione di innocenza, lotta contro la piaga della corruzione, il contrasto alla criminalità organizzata, migliori condizioni nelle carceri e pene alternative, interventi sulla prescrizione e tempi più ragionevoli per i processi, ed infine la riforma del Csm sono gli interventi fondamentali all’interno del sistema giustizia, un sistema, ha spiegato la ministra Cartabia, che sia “in grado di ricostruire legami civici tra i cittadini”, un sistema “che ricuce e ripara, non si nutre di odio né cede alla reazione vendicativa, e vive innanzitutto di ricerca di verità”.

A proposito di manovre per il Quirinale è chiara la radiografia dei rapporti tra i partiti, delle possibili alleanze e delle evidenti distanze tra le diverse parti in gioco. Mentre si rende sempre meno probabile la salita di Berlusconi al Colle, non condivisa in alcun modo dai dem di Enrico Letta, anche l’ipotesi Draghi presidente della Repubblica sembra tutta da verificare: i grillini non sembrano condividere tale prospettiva che secondo molti di loro potrebbe depotenziare Palazzo Chigi. Occorre comunque evitare il rischio di sfrattare l’ex capo della Bce da entrambi i Palazzi. Per i pentastellati, in particolare, risulta fondamentale “l’esigenza di preservare Draghi da tatticismi politici”. In definitiva nulla è ancora definito e dal punto di vista delle trattative per il “nome” da destinare al Colle sarà un weekend di fuoco. La linea del M5S sembra prevedere, o comunque in qualche modo preferire, che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi.

Nel frattempo, i dem consapevoli dell’uscita di Mario Draghi da Palazzo Chigi anche se eventualmente non nell’immediato ma in un futuro non lontano, precisano che “la protezione di Draghi deve essere l’obiettivo di tutte le forze politiche”. Come ha messo in evidenza il segretario dem Enrico Letta, un’uscita di scena del premier avrebbe delle ripercussioni a livello internazionale, da qui l’esigenza di non bruciare il nome di Mario Draghi, in un modo o nell’altro. Di fatto, una permanenza di Draghi a Palazzo Chigi con la maggioranza attuale, e con l’obiettivo di raggiungere la fine della legislatura (marzo 2023), appare anche questa un’impresa alquanto titanica. Ancora più chiaramente, per i dem Draghi “è la risorsa fondamentale del Paese e ci fa da scudo rispetto alle nostre debolezze, a partire dal debito”. Un messaggio chiaro che non lascia molto spazio alle interpretazioni. “Aspettiamo le loro mosse e non dividiamoci”, avrebbe affermato Enrico Letta a ridosso dell’incontro con il leader del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte. Incontro in cui è stato sancito il no a Berlusconi. A proposito di Draghi al Colle “io non ho preclusioni, ma non so se riesco a farlo votare a tutti i miei”, ha dichiarato Giuseppe Conte. “C’è chi teme che senza di lui la maggioranza non reggerebbe”. Nella pratica, quindi, Conte non chiude a Draghi ma il Movimento appare spaccato. Letta, nel contempo, espone una eventuale lettura in prospettiva: “Paradossalmente con Draghi al Quirinale la legislatura prosegue senza intoppi, mentre se si spacca l’attuale maggioranza sull’elezione del presidente il governo rischia e c’è il pericolo che salti tutto”.

Dal fronte dei Cinque Stelle, ma all’interno del perimetro dell’attuale maggioranza di governo, il ministro degli Esteri Di Maio avverte: “Dobbiamo siglare un patto di legislatura tra i partiti di maggioranza per uscire dallo stallo attuale, per dare un segnale di stabilità fuori dai nostri confini e tranquillizzare tutti i gruppi parlamentari”.

Tra i partiti imperversano trattative su più fronti, non solo per il Quirinale ma anche per fare le riforme e per lavorare al Pnrr. Come spiega il deputato dem Enrico Borghi vicino al leader Enrico Letta, “si lavora a una doppia stabilità: quella del Colle con una candidatura di alto profilo che unisca il Paese. E poi la stabilità dell’azione di governo che è un bene del Paese perché assicura che si realizzino gli impegni fatti con l’Europa sul Pnrr”. Se Draghi dovesse traslocare al Colle per garantire la stabilità a Palazzo Chigi “si deve riunire la maggioranza di governo. Le delegazioni della maggioranza si riuniscano e definiscano il metodo e il percorso per arrivare a questa doppia stabilità. Per noi, Draghi è una risorsa che va tutelata”, chiosa Borghi che a proposito di un accordo con il centrodestra per quanto riguarda il Colle assicura: “Vogliamo ricercare un nome condiviso con il centrodestra. E non poniamo pregiudiziali”. A ridosso del loro incontro, per rendere visibile l’unità di intenti per l’elezione del nuovo capo dello Stato, Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza hanno postato il medesimo messaggio, per evidenziare l’intesa tra Pd, M5S e Leu che si presenta come un fronte compatto: “Lavoreremo insieme per dare al Paese una o un Presidente autorevole in cui #tutti possano riconoscersi. Aperti al confronto. Nessuno può vantare un diritto di prelazione. Tutti abbiamo il dovere della #responsabilità”, si legge nel tweet comune ai tre leader.

Nel frattempo, procede l’attività di governo per quanto concerne il caro energia – per cui sono stati stanziati altre risorse (oltre un miliardo di euro che si aggiunge ai 3,8 stanziati in precedenza) per far fronte agli aumenti imminenti – i ristori, il Dpcm con le deroghe al green pass per i negozi e altre attività commerciali. La pandemia non è terminata e l’emergenza economica, che non è stata risolta, molto probabilmente perdurerà ben oltre la durata del virus.

Il destino del Pnrr, che il premier Draghi ritiene “un obiettivo fondamentale”, rimane il cuore di tutte le attività del governo. Il futuro del Paese dipende dalla realizzazione concreta del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Da qui la necessità di preservare l’equilibrio di Palazzo Chigi. Nel 2022 arriveranno due rate di fondi europei di circa venti miliardi ognuna e il Paese non può farsi trovare impreparato o tantomeno nel caos. Il rischio sarebbe troppo pesante e il prezzo da pagare troppo alto: l’Italia potrebbe diventare preda di una speculazione finanziaria a dir poco crudele.

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