I gattini ciechi

Mentre si dipana questa indegna vicenda dell’elezione al Quirinale, mi è tornato in mente il titolo di un racconto poco conosciuto di Tomasi di Lampedusa, I gattini ciechi.

II partiti, che pure avevano trovato modo di accordarsi lo scorso anno su Draghi a Palazzo Chigi, sembrano smarriti in una specie di labirinto. Non sembrano ora capaci di fare la sola cosa seria e utile: riunirsi attorno a un tavolo e cercare di far emergere un nome super-partes che possa godere di ampio consenso e possedere quelle caratteristiche di alta moralità e prestigio che il ruolo richiede. E il paradossa sta nel fatto che il nome c’è, tutti lo sanno, ed è quello di Mario Draghi, ma molti non vogliono che lasci il Governo, specialmente i 5 Stelle che temono elezioni a breve scadenza, e così si sacrifichi la carta migliore di cui il Paese dispone, anche di fronte al mondo. Invece, il centro-destra, neppure molto unito, insiste su un nome, quello di Elisabetta Casellati, che in sé apparirebbe degno, come Presidente del Senato, ma appare, forse ingiustamente, di parte, al resto delle forze politiche. Può darsi che alla lunga ce la faccia lo stesso, mettendo forse così in pericolo la coalizione di governo, ma è difficile che sia per ampio margine.

Un minimo di buon senso vorrebbe che, come avvenne nel 2013, i maggiori leader si rechino dal Capo dello Stato in esercizio e gli chiedano di accettare una rielezione, eventualmente a tempo determinato, in modo da arrivare al termine della legislatura. Ma questo, oltre al consenso dubbioso di Mattarella, richiederebbe un impegno serio e credibile di eleggere poi Draghi. Chimere!

Intanto, si consuma tristemente la parabola discendente di Silvio Berlusconi, baldanzoso candidato e ora degente di ospedale. Mette tristezza, questa vicenda di un uomo non privo di qualità e di meriti, ma stracarico di difetti, e che per l’età e lo stato di salute (l’ho già scritto, in una nota di qualche settimana fa) deve avere la dignità di tirarsi da parte.

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