Cronache dai Palazzi

Un colpo di scena non del tutto inaspettato. All’ottavo scrutinio con 759 voti i Grandi elettori hanno eletto il tredicesimo presidente della Repubblica riconfermando Sergio Mattarella, il secondo presidente più votato nella storia della Repubblica dopo Sandro Pertini, eletto nel 1978 al sedicesimo scrutinio con la più ampia maggioranza “quirinalizia” (832 su 995).

Il nome del capo di Stato uscente non è mai scomparso. Per i pentastellati il voto per Mattarella espresso nel corso dei vari scrutini, in particolare nel sesto (336) e nel settimo (389), è stato “un appello per convincerlo della necessità di rivedere le sue decisioni visto il grave momento per il Paese”. Non solo parte dei grillini ma anche altre fronde all’interno di altri partiti auspicavano la scelta di Sergio Mattarella, considerandola “l’unica alternativa trasversale” in grado di incontrare il consenso di molti. Un epilogo per non scompaginare l’attuale squadra di governo e mettere in salvo la legislatura. Mattarella di nuovo al Quirinale si è rivelata l’unica scelta sostenibile per mettere in sicurezza il Paese stressato dalla pandemia ancora in corso.

La guerra tra strategie ha infine condotto ad un ritorno al sistema preesistente all’insegna della “stabilità” e, in questa direzione, l’unico nome possibile sul quale le forze politiche sono riuscite ad accordarsi è stato Sergio Mattarella. Una soluzione che in partenza era considerata una “extrema ratio” ma che alla fine si è trasformata, in maniera non del tutto inaspettata, nell’unica soluzione possibile. È stata definita, in sintesi, “la vittoria dei due presidenti” anche perché il premier Draghi avrebbe incoraggiato il capo dello Stato uscente ad accettare un secondo mandato.

“Un grandissimo grazie al presidente per la sua scelta”, ha affermato il segretario dem Enrico Letta definendola “una scelta di generosità nei confronti del Paese”, una scelta fondamentale e necessaria nell’attuale momento storico.

Dopo aver ricevuto la conferma della propria forza istituzionale l’attuale squadra di governo dovrà ora sondare la propria consistenza politica. Le forze della maggioranza dovranno dimostrare la loro volontà di procedere nella stessa direzione e di seguire la stessa tabella di marcia. I prossimi mesi saranno molto probabilmente non facili per l’esecutivo di Draghi che dovrà preservare un equilibrio molto fragile per poter continuare a svolgere al meglio i propri compiti, evitando il rischio di trasformare l’ultimo anno della legislatura in lungo periodo di campagna elettorale. L’auspicio è che sia un anno di riassetto su diversi fronti: politico, istituzionale, economico e sociale. Il premier Draghi tornerà comunque in Consiglio dei ministri forte del suo ruolo e con un’investitura rafforzata.

Di certo mantenere al loro posto due figure così importanti per l’Italia, Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi, è un servizio al Paese, una scelta che mira a riconciliare il Parlamento con gli italiani dopo una settimana di messa in scena mediatica. Una messa in scena che si è rivelata comunque molto utile in quanto ha permesso ai cittadini di ascoltare e vedere direttamente ciò che accadeva in Parlamento, anche se si è dimostrato un Parlamento sui generis più del solito.

Dalla sofferta elezione del capo dello Stato è emersa la strenua lotta tra politica e tecnocrazia. Un tema molto spesso celato ma che è tornato in auge a causa delle elezioni per il Quirinale. Una maratona di informazioni ha caratterizzato la settimana appena trascorsa percorrendo tutti i media, una maratona televisiva in particolare. Correnti e comunità mediatiche sono i binari della politica del nostro tempo. Binari sui quali si cammina ma, molto spesso, come sulle sabbie mobili, con il rischio di sprofondare in un vuoto dibattito politico, di fatto ridotto ad un conteggio di voti. In questo contesto è stata escogitata la soluzione meno dolorosa per sfuggire ad una crisi imminente e in qualsiasi caso evidente, all’interno dei Palazzi. “La scelta di Sergio Mattarella è la scelta che tutti gli italiani chiedevano”, ha affermato il leader dem Enrico Letta, sottolineando però che ora “è importante che ci si rimbocchi tutti le maniche” per risolvere la crisi, per fare le riforme e gli investimenti necessari. È urgente ricostruire un dialogo per poter individuare metodi e soluzioni nei vari frangenti. La politica è “bloccata”, come ha affermato Enrico Letta, e “dobbiamo metterci al lavoro per tentare di sbloccarla”.

Superata l’elezione del nuovo capo dello Stato la politica italiana dovrà ritrovare il proprio baricentro, occorrerà rivedere gli equilibri tra le forze politiche, gli schemi a destra e a sinistra, in pratica sarà necessaria una sostanziale ricomposizione del sistema dei partiti che, in ogni caso, rappresenta la base su cui si fonda la Repubblica democratica e parlamentare. Scelte sgrammaticate hanno determinato una settimana di temporeggiamenti, un totonomi continuo e il casting dei candidati per il Quirinale ha di fatto portato alla luce delle faide profonde all’interno dei partiti e delle coalizioni.

Per la maggior parte degli esponenti politici la riconferma del presidente Mattarella “è la soluzione migliore per l’Italia e per i partiti”, come ha dichiarato Matteo Orfini del Pd, che fin dall’inizio era tra coloro che auspicavano un Mattarella bis. Sulla stessa lunghezza d’onda Antonio Tajani di Forza Italia: “È la scelta più giusta per il bene del Paese”; Sergio Mattarella è “l’unica personalità politica sulla quale si è trovato un accordo”. Anche per Roberto Speranza di Leu “è la scelta migliore per l’Italia”. Per Matteo Renzi con Sergio Mattarella al Colle “la solidità del Paese è garantita” ma “la credibilità della politica” decisamente meno. Per il leader di Italia Viva si tratta in definitiva di “una sconfitta politica”.

Dal fronte dell’opposizione anche Giorgia Meloni denuncia “il fallimento della classe politica”, definendo “imbarazzante” l’accaduto: la scelta di Mattarella rappresenta “il male minore” e “non è una bella fotografia dello scenario politico”, ma “è un fallimento di tutti”. “Dal Parlamento immagine indecorosa”, ha scritto in un tweet Giorgio Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha inoltre ribadito che il suo è “un partito granitico che non cambia idea ogni cinque minuti”.

Uno strenuo tira e molla sul nome di Mario Draghi, il sacrificio di Elisabetta Casellati e in parte anche del nome di Elisabetta Belloni, il progetto di una presidente della Repubblica donna che è rimasto il perenne sogno nel cassetto, più che un obiettivo raggiungibile, il nome di Sergio Mattarella sempre presente sullo sfondo, sono alcuni dei tratti fondamentali di uno scenario che alla fine è rimasto lo stesso. È stato annunciato il cambiamento senza aver testato le reali possibilità per renderlo concreto.

“Io sono un centroavanti, ma se non arrivano palle buone è complicato”, ha dichiarato Giuseppe Conte nel corso delle ore più dure. Dopo una settimana di trattative estenuanti il leader pentastellato ha infine sottolineato: “È stata una scelta faticosa”.

A proposito dell’eventuale cambio di Palazzo di Mario Draghi, si sono pronunciate anche importanti realtà della stampa internazionale. Il premier “gode di un’aura internazionale che nessuno dei suoi concorrenti alla massima carica può vantare”, ha scritto Le Monde. Per il Financial Times nel frangente attuale ancora dominato dalla crisi pandemica – una crisi economica sanitaria e sociale – il peggiore scenario per l’Italia sarebbe stato dover tornare alle urne allontanando il Paese da riforme e Recovery plan. La preoccupazione di Bruxelles e dei mercati finanziari verteva, invece, sulle riforme e il rischio di buttare all’aria gli obiettivi raggiunti nell’ultimo anno dal governo Draghi.

Sulla stessa linea The Economist, per cui Draghi al Colle avrebbe rappresentato non proprio un bene per l’Italia e per l’Europa. Lasciare Palazzo Chigi per il Quirinale “lo mette a rischio. Se verrà eletto, sarà difficile trovare un successore in grado di tenere insieme l’attuale coalizione ideologicamente eterogenea”. Draghi “ha presieduto 12 mesi di insolita calma e unità nella politica italiana”, scriveva l’Economist giorni fa.

L’uscita di Draghi dal governo avrebbe di fatto compromesso la buona riuscita del Piano nazionale di ripresa e resilienza e messo a repentaglio gli oltre 200 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti provenienti dal fondo di recupero della pandemia messo a disposizione dall’Unione europea.

Dure le parole rivolte a Draghi da Les Echos, che lo ha descritto come “un capitano” che “abbandona la sua nave in piena operazione di salvataggio”. Gli “11 mesi trascorsi al timone hanno prodotto risultati piuttosto spettacolari, in un Paese che di recente ne ha conosciuti così pochi: l’Italia è ormai uno dei paesi meglio vaccinati del mondo, mostra una ripresa economica superiore a quella della Germania e della Francia. Ma tutto porta a pensare che la fiducia dei mercati non sopravviverà alla probabile uscita del suo primo ministro”, ha scritto Les Echos preannunciando un’impennata dello spread a causa di un cambio di Palazzo di Draghi. Lo spread è un indicatore che, molto spesso, va di pari passo con l’inflazione e fornisce “una buona indicazione sulla difficoltà di un Paese a finanziarsi sui mercati”.

L’ennesima spaccatura che ha provocato il ritorno del presidente Mattarella si è aperta a causa della candidatura di Elisabetta Belloni, direttore generale del Dis, osteggiata da Forza Italia, Italia viva e parte dei dem che hanno ritenuto l’ex Segretario generale della Farnesina non quirinabile a causa del suo ruolo attuale come direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza.

In definitiva è stata una guerra senza vincitori né vinti ma hanno vinto gli italiani nonostante il trasformismo e la frammentazione in Parlamento. Ora occorre arginare le spinte elettorali e favorire un dialogo democratico sulla base del quale poter ricostruire una società più equa e più giusta, animata da una rinnovata etica civile. Auspicando un cambiamento di fatto in grado di smuovere un palpabile immobilismo che caratterizza la classe politica, rovesciando una celebre frase de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa si potrebbe dire: ‘Bisogna che tutto resti com’ è affinché tutto cambi”.

Al presidente Mattarella il Paese reale gridava “bis” e bis è stato. A tale proposito, in termini di revisione costituzionale, il neo presidente della Consulta Giuliano Amato eletto anch’egli sabato  ha spiegato che “l’estensione dei poteri della presidenza della Repubblica avviene come organo di garanzia per il bene del Paese”.

Nel suo brevissimo ed essenziale discorso al Quirinale, a ridosso dell’ultimo scrutinio, Sergio Mattarella ha sottolineato che “i giorni difficili che hanno condotto alla elezione nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento”. Le condizioni attuali – ha aggiunto il presidente – “impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati” che “devono naturalmente prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti con l’impegno di interpretare le attese e le speranze” degli italiani. Giovedì 3 febbraio sarà il giorno del giuramento in Parlamento, riunito in seduta comune per ascoltare il presidente Mattarella.

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