La battaglia del Quirinale

Ora che la battaglia per il Quirinale si è conclusa nel modo che la maggior parte degli italiani desiderava e che va nel senso del miglior interesse del Paese (chi ha avuto la pazienza di leggermi la settimana scorsa sa che era la soluzione che avevo sin dall’inizio preconizzata), qualche considerazione marginale deve essere permessa.

La prima: non capisco proprio quei (pochi) che accusano Mattarella di una supposta incoerenza. Il Presidente aveva fatto più del necessario per escludersi dalla corsa, e lo aveva fatto seriamente e sinceramente, tanto che il suo nome è rimasto fuori delle prime “rose” delle prime votazioni. Se i maggiori partiti avessero potuto accordarsi su un altro nome, Mattarella se ne sarebbe andato volentieri. Quando ha cambiato idea? Quando ha visto che solo su di lui era possibile una convergenza di ampio respiro e che, se lui si fosse capricciosamente negato, sarebbe durata ancora a lungo e con esiti incerti l’agonia della settimana precedente. E su di lui ha agito naturalmente la considerazione che questa agonia, che proiettava incertezza anche sul Governo, danneggiava l’Italia in un momento di crisi sanitaria ed economica, ma anche di grande pericolo internazionale. Chi non lo capisce, mostra di avere uno spirito davvero piccino. Il grande applauso liberatorio dell’Assemblea al momento dell’elezione sta del resto a provare come, persino una classe politica sciatta e imperfetta abbia capito che in quel momento si celebrava, non una stanca liturgia, ma uno dei momenti alti di una grande democrazia, che mi ha reso orgoglioso (per una volta) del mio Paese.

La seconda considerazione riguarda Berlusconi. Da tempo scrivevo che la sua ambizione, umanamente comprensibile, era del tutto irrealistica. L’ha capito a tempo e ha preso la sola decisione necessaria ma giusta che poteva. Poi è probabile sia esatto quel che Tajani ha detto sabato sera a Porta a Porta, cioè che sia stato lui a bloccare l’assurdo tentativo di mettere avanti nomi di “tecnici”, sostenendo l’ovvia necessità che al Quirinale salga un politico.

E questo mi porta alla terza considerazione. Salvini alla fine ha mostrato buonsenso, però di errori di percorso ne ha fatti vari. I nomi che aveva proposto, tutti rispettabili, per carità, avevano un difetto fondamentale: nessuno aveva le origini e la statura per occupare il più alto posto dello Stato (lo stesso vale per i candidati di Giorgia Meloni). Il solo che aveva titolo era la Casellati, ma Salvini doveva capire che non sarebbe stata accettata dagli altri, essendo una persona inequivocabilmente di parte, e che proponendola senza un previo accordo generale la bruciava (ed è forse un peccato).

Ma il colmo dell’errore, Salvini l’ha fatto proponendo Elisabetta Belloni. È una mia più giovane ex-collega, che ho appena incrociato nei miei ultimi anni di carriera, che coincidevano con i suoi primi, ma conosco bene la sua fama di donna intelligente e brillante; è stata una Segretaria Generale della Farnesina senz’altro capace e presumo sia un altrettanto efficiente Direttore dei nostri Servizi di Sicurezza. Ritengo sia qualificata per altri posti di responsabilità e magari di governo, ma il Quirinale è un’altra cosa. Un alto funzionario (categoria alla quale ho appartenuto), per quanto bravo e competente, non ha il profilo che si richiede. Non averlo capito, mostra da parte dei Salvini quantomeno una profonda insensibilità istituzionale. E una certa irresponsabilità nell’aver gettato nell’arena un nome di prim’ordine, esponendola a un rifiuto. Non sono cose nuove: nelle elezioni del 2001 è capitato, naturalmente su scala minore, la stessa cosa: FI mi ha offerto una candidatura alla Camera, diventata per qualche tempo di dominio pubblico, poi– credo per opera di Fini – nel Centro-destra non c’è stato accordo e la cosa è saltata. Non ne sono stato, in fin dei conti, affatto deluso, ma qualche ragionamento sulla leggerezza di certi personaggi e sistemi, l’ho fatta; e l’ho ripetuta quando Prodi ha speso il mio nome nelle elezioni all’estero del 2006, senza previo accordo del PD. Utilizzare il nome rispettato di un servitore dello Stato per gettarlo ai pesci è purtroppo pratica corrente.

Spero che Elisabetta Belloni superi, da persona intelligente e navigata qual è, questa “bruciatura” e continui con serenità il lavoro che sta facendo per la sicurezza di tutti, e presto o tardi troverà il compenso che merita.

Condividi
precedente

Beate (Film, 2018)

successivo

Sandro Gorra, da Art Director ad artista

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *