Gianluca Marziani: curatore d’arte e non solo

È critico e curatore d’arte. Curatore artistico del gruppo MetaMorfosi, di Visionarea Art Space presso l’Auditorium Conciliazione di Roma, ricopre anche il ruolo di direttore artistico del Museo Condominiale Tor Marancia a Roma. Da cinque anni è membro della giuria di selezione del Talent Prize e da alcuni anni firma grandi mostre itineranti dedicate a Banksy, Obey e Keith Haring, così come cura premi prestigiosi e diverse mostre nei principali musei italiani e in gallerie nazionali, oltre a collaborazioni con gallerie, musei e fondazioni internazionali. È stato direttore artistico della Fondazione Rocco Guglielmo e consulente per la Biennale di Venezia 2011. Ha all’attivo un notevole numero di cataloghi e firma i progetti più innovativi sulla Street Art, come “Scala Mercalli” presso l’Auditorium Parco della Musica e il case history “Big City Life” nel quartiere romano di Tor Marancia. Parla di arte su testate cartacee e online e collabora regolarmente con radio e tv come Rai 1, Rai 5, Radio 2 e Sky Arte. Tiene lezioni, convegni e incontri presso istituzioni pubbliche e private ed è fra i primi curatori italiani a realizzare consulenze artistiche per aziende e multinazionali. È nominato curatore dell’anno 2010 dalla giuria che presiede il Premio Ca’ Zenobio e ha vinto il Premio Magna Grecia (2005) e un A.B.O. d’Argento (2006). Stiamo parlando di Gianluca Marziani (Milano, 1970) che abbiamo avuto occasione di intervistare in occasione dell’inaugurazione della mostra Sandro Gorra. L’arte dell’attimo in corso a Pietrasanta fino al 5 giugno.

Come è nata la tua presentazione della mostra di Sandro Gorra, questo fortunato incontro?

Ho conosciuto Sandro tramite la gallerista Laura Tartarelli, che qui a Pietrasanta è stata il punto nodale nella realizzazione dell’evento. In realtà lo conoscevo già di nome per via dell’amicizia con i Monini di Spoleto, all’epoca ero Direttore dei Musei di Spoleto; Sandro invece era creativo per la comunicazione di questa nota azienda che produce olio. Dopo questo “sfioramento”, ci siamo conosciuti di persona ed è scattata la scintilla, conoscendo il Gorra post-pubblicità, tieni presente che parliamo di un creativo vecchio stile, di quelli che usavano ancora la matita e il disegno per comporre le tavole.

Quindi non lo conoscevi come artista?

No, inizialmente solamente come Art Director, poi ho scoperto questo consistente corpus di opere d’arte progettuale, spaziando dalla scultura al disegno. Da questo è nata l’idea di lavorare sul progetto della giraffa, che è decisamente affascinante, fatto che si intreccia strettamente con la mia dimensione curatoriale, molto attenta agli aspetti contaminativi, come i linguaggi possono assumere questa dimensione filtrata e permeabile. La permeabilità linguistica per me ha sempre rappresentato una forte importanza, ci scrissi un libro, Melting Pop, nel 2001 per Castelvecchi, cui seguì la mostra al Palazzo delle Papesse in Siena che curai nel 2003. Con Sandro è nato questo interesse, ponendo al centro la qualità del suo disegno, e ancora di più la parte densa del suo concetto, delle sue idee, che sta dietro tutta la sua arte, con la sua capacità innata di raccontare l’umanità attraverso uno sguardo caustico e tagliente. La parte che più apprezzo nel suo linguaggio è la capacità di descrivere le cattive abitudini e i maldestri usi umani, senza cattiveria, ma sempre con la “pietas” che lui riesce a infondere nelle sue rappresentazioni della debolezza umana. La sua scultura installativa si è poi fusa perfettamente nella cornice del Chiostro di Sant’Agostino qui a Pietrasanta, unendo il sacro e l’umano in un viaggio molto ondivago che racconta la storia di Sandro attraverso i collages dei suoi disegni, che diventano attestazioni dei suoi ricordi ed esperienze.

Verissimo, ho trovato incredibile la forza con cui Gorra riesce a mettere a nudo i malesseri umani e della società, la pochezza di certi atteggiamenti, lo sfruttamento.

Mi fa molto piacere questo che dici, io sono rimasto colpito da questa rappresentazione delle giraffe che perdono la mimetica, andandosi quindi a confondere nell’ambiente urbano. È una metafora molto sottile e geniale, una realtà che tocca ognuno di noi, andando a evidenziare il nostro status nel mondo, invitandoci anche ad abbassare i toni dell’enfasi collettiva. È molto facile iniziare a perdere le macchie senza accorgersene: rappresenta la possibilità, il pericolo, di perdere il proprio potere, la ricchezza, all’improvviso, per un qualsiasi motivo, da un terremoto alla guerra, piuttosto che una carestia. In questo caso le macchie delle giraffe paiono definitive, ma si scopre che, viceversa, possono sparire e quindi rivelarsi effimere. Spero che il pubblico colga tutto questo, non in maniera didascalica, non fermandosi solo alla bellezza dell’arte, ma percependo il messaggio che viviamo in una società dove tutto è superficiale, sublimato dai social media.

Gorra nelle sue opere ha usato anche tante tecniche e materiali diversi.

Qui entra in gioco anche l’artigianato locale. Ogni tecnica non è solo un aspetto formale, ma rappresenta mondi diversi; il marmo, il bronzo, la terracotta, sono universi che implicano tante cose all’interno del campo artistico.

Un altro aspetto che mi ha colpito nelle giraffe di Gorra è quell’espressione che è riuscito a conferire nel loro sguardo, un misto di disperazione, dolore e sconforto, cosa ne pensi?

Hai detto una cosa molto giusta. Ritengo sia una delle caratteristiche più interessanti di Sandro, sia nei soggetti umani che animali, lui ha questa capacità di rendere i toni espressivi con tutta quella sagacia, arguzia, ironia sottile, i dettagli che riportano ai grandi illustratori italiani degli anni ’40, come il primo Manara o Altan. Lui è riuscito a riportare tutto questo in una dimensione orchestrale che mette in primo piano questi mondi, accendendo l’empatia dei visitatori.

I temi che Gorra affronta, questa forma di critica e accusa alla società moderna, riprende temi del secolo scorso, che in questo XXI secolo sembrano spariti. Lancia un messaggio molto importante che riporta agli anni ’70.

Questa è una domanda che esigerebbe una risposta molto complessa. Negli ultimi 20 anni l’arte si è concentrata su temi politici e di classe, dimenticando la semantica e la bellezza dell’opera, andando forse a banalizzare i messaggi. Nel caso di Gorra abbiamo il tentativo, secondo me riuscito, con ulteriore margine di crescita, di unire il fattore estetico con la sua morale, la propria connotazione etica. Ogni opera di Sandro è strettamente connessa alla didascalia, che non è solo una fredda descrizione, ma è il completamento dell’opera artistica, come parte narrativa fondante.

Al grande pubblico forse non è chiara la figura e i compiti di un curatore, vuoi spiegarlo con parole tue?

È una domanda cui tengo molto, ho anche lavorato in tale senso per definire qualcosa di cui si è forse perso il senso ultimamente, coniando anche termini come Art Runner. Per me Curatore è lo stesso ruolo che ha il regista in un film, ovvero coordinare tutti gli attori che partecipano alla realizzazione del risultato finale. Nel mio caso personale sono un curatore con un approccio fortemente teorico e analitico, occupandomi molto degli aspetti testuali; diciamo, il lavoro di un critico d’arte. Ho aggiunto anche una parte manageriale e produttiva, che comprende tutti gli aspetti ideativi assieme all’artista, condividendo le idee per arrivare alla filiera produttiva. Si scelgono i vari ruoli e io li metto assieme, in verità ho anche una società di produzione mostre che cura anche gli aspetti del fundraising. Nel caso di Gorra ho fatto il curatore nel senso più artistico del termine. Mi sono occupato degli aspetti relativi all’allestimento, nei suoi elementi più significativi, e della realizzazione del catalogo dalla parte grafica alla scelta dei font, fino ai testi.

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