Camera di Consiglio
GLI EREDI ED IL MATRIMONIO DELL’INCAPACE – Cosa può accadere qualora il parente morto, in vita abbia contratto matrimonio in caso di incapacità di intere e di volere, di fatto sottraendo parte dell’eredità agli eredi? È importante evidenziare che anche il matrimonio (in quanto atto giuridico) può essere contratto da un soggetto incapace: il legislatore regola l’azione per il matrimonio contratto dall’incapace in una serie di articoli, ossia 119, 120 e 127 cc.
L’art. 119 c.c. stabilisce che soggetti che possono impugnare il matrimonio: questi sono l’interdetto dopo la revoca dell’interdizione, il tutore dell’interdetto, il pubblico ministero e coloro che hanno un interesse ad avere l’annullabilità del matrimonio. In tale caso, si potrebbe pensare all’erede, ma, il seguente art. 120 c.c. individua lo stesso incapace come (unico) soggetto legittimato a chiedere l’annullamento del matrimonio, escludendo altri soggetti anche interessati, anche il P.M. (ai sensi dell’art. 125 c.c.). Il seguente articolo 127 del Codice civile stabilisce che l’azione per impugnare il matrimonio contratto dall’incapace non si trasmette agli eredi, a meno che il giudizio dell’accertamento dell’incapacità non fosse già iniziato prima della morte del soggetto.
Nel caso in cui il giudizio di accertamento non fosse già pendente, questo non è trasmissibile agli eredi, i quali potrebbero trovarsi, di fatto, senza difesa alcuna. Infatti, l’articolo che limita la loro azione, secondo Giurisprudenza costante, non può essere oggetto di interpretazione estensiva, e, pertanto, non è impugnabile dagli eredi, poiché il matrimonio è un “atto personalissimo”.
Secondo la Suprema Corte (Cfr.: Cass., sent. n. 1479/2014): “si ritiene esclusa anche l’importazione in ambito matrimoniale dell’art. 428 cod. civ., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e volere, trovando applicazione le norme speciali in tema di invalidità del matrimonio, le quali, tra l’altro, non danno rilevanza allo stato soggettivo dell’altro coniuge, a differenza di quanto previsto per i contratti il cui annullamento presuppone la malafede dell’altro contraente, a norma dell’art. 428 c.c.”.
La tutela dal punto di vista penale, tuttavia, è possibile qualora vi siano delle prove che il parente incapace sia stato circuito. Infatti, il matrimonio è fonte tra l’altro dei diritti successori e si potrebbe provare che è stato indotto fraudolentemente, chiedendo la condanna ex art. 643 c.p., secondo la quale: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando […] dello stato di infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito […]”.
E tale norma prevede espressamente i terzi tra i soggetti lesi dalla frode, e tra essi, in primis, si devono annoverare gli eredi del soggetto circuìto. Inoltre, l’effetto dannoso non deve essere necessariamente conseguenza immediata e diretta dell’atto indotto, giacché quello che rileva nella fattispecie delittuosa in esame è l’attitudine o potenzialità dell’atto a ingenerare pregiudizio. La “dannosità” dell’atto va valutata secondo un giudizio prognostico, guardando allo sviluppo prevedibile delle situazioni legate o scaturenti dall’atto.
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