Nomadismo digitale e mondo del lavoro
Pandemia e post-pandemia hanno cambiato e stanno mutando il mondo del lavoro, se l’impossibilità di muoversi durante il lockdown ha fatto esplodere lo smart-working, ora sta prendendo piede il Remote working, il passo è breve. La materia è diventata interessante per chi non necessita di avere una sede fisica, ha la possibilità di usare strumenti di lavoro evoluti e a questo unisce conoscenza delle lingue e apertura verso culture e luoghi posti fuori dal proprio paese. Anche se con ritardo, anche l’Italia si è mossa per normale la figura del nomade digitale, inserendo un emendamento nel Decreto “Sostegni-ter” che introduce nel nostro ordinamento la figura del Digital nomad. La proposta di legge prevede di definire come “remote worker” un lavoratore straniero il cui reddito prevalente derivi da attività estere, residente temporaneo della Repubblica Italiana. Requisiti per il remote worker sono la disponibilità di un’idonea sistemazione, un congruo reddito, un’assicurazione sanitaria e la fedina penale pulita; l’istituzione di visto e permesso dedicati della durata di un anno, prorogabile per un ulteriore anno ed estendibile al nucleo familiare del remote worker; la possibilità per il remote worker di collaborare con soggetti economici Italiani. “Si tratta di una proposta a costo zero e, anzi, ad alto moltiplicatore, per attrarre talenti dall’estero. Un buon risultato che segue un grande lavoro portato avanti da mesi.”, ha dichiarato Luca Carabetta, deputato del Movimento Cinque Stelle, che ha presentato la Proposta di Legge insieme all’On. Anna Laura Orrico, con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri.
Diventa possibile lavorare da Venezia collegati al mondo ad esempio; in due mesi dal lancio sono già 1800 le persone iscritte al portale Venywhere pensato per attirare, offrendo una rete di servizi, professionisti interessati a lavorare in laguna per sei mesi o un anno. “Vogliamo rendere questi nuovi residenti parte della comunità, non solo ospiti”. Da marzo, per una prova pilota di tre mesi, sono arrivati a Venezia 16 dipendenti della multinazionale californiana Cisco che ha scelto Venezia per sperimentare protocolli di lavoro ibrido. Per quelli che gli inglesi chiamano workers from anywhere. Modelli di lavoro accelerati dalla pandemia. dice Massimo Warglien, ideatore del progetto e professore di management all’Università Cà Foscari, promotrice del programma insieme alla Fondazione di Venezia e all’Università Iuav.
Oggettivamente, leggendo i requisiti e le procedure previste per il rilascio del permesso di remote worker, pare che il bizantino, vezzoso, amore dell’Italia per la burocrazia sia un male difficile da estirpare, il tutto passa comunque tra uffici e luoghi fisici, in quanto la procedura prevista vede l’avvio con la richiesta, da parte del datore di lavoro, di nulla osta all’ingresso del lavoratore, presentata allo Sportello Unico competente. Ottenuti i pareri della Questura e della Direzione Provinciale Territoriale del Lavoro, ha luogo il rilascio/ o il diniego dell’autorizzazione richiesta. Il cittadino straniero, una volta ricevuta la notizia del rilascio del nulla osta, deve recarsi, entro 180 giorni, presso la Rappresentanza Diplomatica o Consolare italiana per richiedere il visto di ingresso. Ottenuto il visto ed entrato in Italia, il lavoratore straniero, entro otto giorni, dovrà recarsi, accompagnato dal datore di lavoro, presso lo Sportello Unico dell’Immigrazione per sottoscrivere il contratto di soggiorno e richiedere il permesso di soggiorno per lavoro.
In tutta la visione italiana il digitale appare molto sfocato, mentre le cose vanno decisamente in modo diverso all’estero, dove ad esempio, già da tempo un paese leader nel campo del digitale, come l’Estonia, ha lanciato il programma Digital Nomad Visa. I vantaggi non sono solo per i lavoratori, l’Estonia, con il programma di e-Residency, aveva già attirato 70 mila persone, e ha fatto guadagnare allo Stato 41 milioni di euro dal 2014, da qui all’evoluzione verso il visto per nomadi digitali il passo è stato breve e logico. Questo permette di superare il limite che impedisce di lavorare fisicamente in un altro paese, anche se europeo. Tale possibilità esiste nella Repubblica Ceca, che offre una ‘business visa’ per lavoratori indipendenti di oltre 90 giorni; così come in Germania, che permette di rimanere nel paese dai 3 mesi in su, e anche il Portogallo concede residenze a lungo termine per chi lavora autonomamente. La Georgia consente ai lavoratori autonomi stranieri il diritto di rimanere nel Paese per almeno sei mesi. Non solo l’Europa offre questa possibilità, ma volendo è possibile optare per destinazioni più esotiche come le Barbados, dove, con uno speciale Welcome Stamp, si può ivi lavorare per 12 mesi godendosi il mare caraibico: “Siamo consapevoli che sempre più persone lavorano da remoto, spesso in condizioni di stress, con poche opportunità di vacanza. Con il nostro Barbados Welcome Stamp da 12 mesi, si ha un visto che consente di trasferirsi e lavorare da una delle più amate destinazioni turistiche nel mondo”, ha dichiarato il primo ministro Mia Amor Mottley.
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