L’Italicum
Dunque, alla fine, una nuova legge elettorale sembrerebbe possibile. Diciamolo con il condizionale, ovviamente, giacché la politica ci ha abituati ad alti e bassi, saggezza e follia e non sarebbe la prima volta che Berlusconi disfa domani quello che ha fatto oggi.
Non può dirsi, per la verità, che il modello ora proposto sia un esempio di chiarezza. Piuttosto è una prova dell’illimitata fantasia nazionale e, sotto questo aspetto, davvero meritevole di definirsi “Italicum” (aspetto con curiosità di vedere che nomignolo gli affibbierà il mio impietoso amico Sartori). In effetti, Renzi e Berlusconi avevano a disposizione alcuni modelli consolidati, di cui ciascuno aveva una sua logica. Se si voleva assicurare bipartitismo, alternanza e governabilità, la via maestra era – e resta – il doppio turno di collegio, possibilmente tra partiti, alla peggio tra coalizioni; un sistema che ha, tra gli altri, il vantaggio della limpidezza, non dovendo ricorrere a misure artificiali e di dubbia costituzionalità, come soglie di sbarramento e premi di maggioranza. I francesi hanno la nostra stessa tendenza all’individualismo (non gli spagnoli, che sono seri, austeri e “prussiani”), ma da più di mezzo secolo il sistema da loro funziona. Per quale misterioso calcolo, per quale persistente miopia, i due leader (per volontà, ritengo, soprattutto del Cavaliere) non lo hanno scelto? Perché si sono lasciati andare a un esercizio di quello che mia madre, quando ero bambino, chiamava UCAS: Ufficio Complicazione Affari Semplici? Mah! Un giorno, forse, lo scopriremo.
Oltre al sistema francese c’erano sul tavolo il modello spagnolo e il nostro “Mattarellum”. Quest’ultimo, che pure piaceva a molti, non è stato alla fine accolto e non senza qualche motivo: con il suo terzo di quota proporzionale non garantisce al 100% maggioranze autonome. Per questo, alla fine è rimasto in ballo solo il sistema spagnolo: proporzionale con piccoli collegi e il conto delle percentuali fatto su scala provinciale, non nazionale. Piaceva a Berlusconi e piaceva, a quanto pare, al guru di Renzi, D’Alimonte. Vanni Sartori ha ricordato sul Corriere che, perché funzioni, occorre che vi siano, come in Spagna, solo due grandi partiti nazionali. Lo stesso avevo scritto io domenica scorsa in questo giornale, descrivendo il sistema con qualche dettaglio. Berlusconi e Renzi hanno tuonato contro i partitini e i loro ricatti, ma questo è solo uno dei problemi. Il maggiore, almeno da febbraio scorso, è che da noi di grandi partiti ad oggi ce ne sono tre, grosso modo equivalenti, uno dei quali non accetta alleanze. In queste condizioni, un sistema proporzionale, su scala nazionale o provinciale, non garantisce una maggioranza certa: al contrario, è una ricetta sicura di ingovernabilità (per questo la proporzionale era stata bocciata una ventina d’anni fa da un referendum).
È arduo pensare che Renzi e Berlusconi non se lo siano detti in privato, nel lungo faccia a faccia di sabato. Da qui il marchingegno: modello spagnolo, sì ma con due correttivi, uno contro i partitinI (soglia di sbarramento al 5 e all’8%); uno contro i grillini (secondo turno tra i due primi arrivati per l’attribuzione del premio di maggioranza; i grillini, dunque, presumibilmente all’opposizione in perpetuo; con buona pace di Bersani, una vera e propria – e giustificata – “conventio ad excludendum”). Segno che i capi di FI e del PD i conti li sanno fare.
Vediamo, rapidamente, pregi e difetti del modello. I pregi: sulla carta rispetta (molto parzialmente) la rappresentanza popolare attraverso l’applicazione della proporzionale; garantisce, almeno al secondo turno, una maggioranza grazie al relativo “premio”. Difetti: una forza che raggiunga il 35% al primo turno si porta a casa il 55% o più dei parlamentari. Può darsi che la Consulta questa volta lo accetti se, come pare, l’obiezione al premio previsto nel Porcellum derivava dal fatto che esso scattava senza una soglia minima; resta, comunque, una “truffa”, del tipo che provocò una mezza rivoluzione negli anni Cinquanta. Altro difetto: si parla pur sempre di “coalizioni” e non di “partiti”. Si perpetua così il sistema delle maggioranze spurie e solo elettorali che ha dato risultati così poco esaltanti. Infine, il problema delle liste bloccate. Piacciono a Berlusconi e Renzi ora le accetta (col pannicello caldo delle “primarie”). Su questo punto, sollevato dalla Corte Costituzionale, NCD preannunzia battaglia. Personalmente credo che le preferenze potrebbero costituire un incentivo a spese individuali eccessive e voto di scambio. Per questo erano state abolite per referendum, ciò che fu considerato un modo per moralizzare la politica. Non credo che le cose siano cambiate da allora, e la riprova la dà il voto all’estero, in cui vige il sistema preferenziale, e in cui è pesante l’interferenza di interessi corporativi, campanilismi e vere e proprie mafie. Che in Italia sarebbero moneta corrente.
In conclusione, il modello italico ha qualche pregio e vari difetti, ed è da prevedere un iter legislativo accidentato (è facile immaginare che M5S, Lega, forse SEL, faranno le barricate) e con pendente una possibile pronuncia di incostituzionalità.
Comunque, questo passa il convento, almeno per ora e il meglio, si sa, è nemico del bene. Perciò, turiamoci il naso e tocchiamo ferro, sperando che anche questa non sia una delle tante possibilità perdute.
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