On the road e Millennials, generazioni a confronto

Era il 1969 e sugli schermi uscì Easy Rider, film che è considerato uno dei simboli della nuova Hollywood, premiato come miglior opera prima a Cannes lo stesso anno. Wyatt “Capitan America” e Billy attraversano gli States partendo dal Messico con destinazione New Orleans. Il viaggio dei due a cavallo delle loro moto ricorda quello narrato prima da Jack Kerouac nel libro “On the road”, il libro simbolo della Beat Generation. Non si può dire che il film che vide protagonisti Peter Fonda, Dennis Hopper e il quasi esordiente Jack Nicholson si collochi nella scia dell’ideologia beat; probabilmente è più un simbolo della contestazione giovanile e della cultura hippie che in quegli anni imperversavano non solo negli Stati Uniti.

In ogni caso sia nel film che nel libro che nel film incontriamo giovani che hanno sete e voglia di vivere pur attraverso eccessi ai confini dell’autodistruzione. Leggevano, parlavano, si incontravano, viaggiavano e, per loro, era essenziale uscire dagli schemi preconfezionati della società di allora. L’America abbandonava l’epoca di Happy Days e della famiglia felice di Ricky Cunningham, con massimo della trasgressione Fonzie (che però alla fine non si sottrasse all’omologazione), per passare alle marce per i diritti civili e Woodstock attraverso il sangue di dei fratelli Kennedy, di Martin Luther King, di Malcolm X e del Vietnam.

In Europa forse era più complicato fare viaggi di migliaia di chilometri attraverso i paesaggi impressionanti del Grand Canyon e della Route 66 che collega Chicago a Santa Barbara e, sinceramente, non è la stessa cosa per un giovane attraversare gli States da New York a San Diego piuttosto che fare Bari-Milano o Catanzaro-Torino. Ma si poteva prendere una Cinquecento e andare a Parigi, Berlino, nella Swinging London o attraverso la Jugoslavia raggiungere i paesi dell’est Europa. Ma era possibile e quello di avere quanto prima la patente e una macchina propria era il sogno specialmente per i giovani che, fino al 1975, dovevano aspettare i ventuno anni per motorizzarsi.

Patente e macchina, un binomio che voleva dire anche libertà di muoversi, affrancarsi anche solo per qualche giorno o fine settimana dai genitori, uscire con gli amici, la ragazza. L’età media per prenderla? In pochi attendevano i diciotto anni.

Da qualche anno la tendenza è cambiata e, leggendo on line, ci si imbatte in statistiche da cui si apprende che solo il 58% dei nati dopo il 1995 (millennials) è patentato, mentre la generazione precedente vedeva alla guida l’81% dei baby boomer (nati tra il 46 e il 64). Attendiamo i dati per chi è nato dopo, ma ci si imbatte sempre più spesso in articoli e statistiche che dicono come l’età media dei neopatentati sia in aumento.

Le cause? Qualcuno ipotizza la consapevolezza ecologica, ma è un palliativo con l’aumento di auto elettriche e ibride; anche una presunta perdita del prestigio e valore sociale di avere un’auto propria sembra sia argomento debole.

Perché quindi i giovani non vogliono imitare gli Easy Rider o anche solo i loro genitori e nonni per andare in vacanza da soli? Famiglie iperprotettive? Mamme e papà taxi su cui poter contare? Costi eccessivi? Sono tutti argomenti da tenere sicuramente in considerazione, ma sembra che, anche qui, il peso di internet e dei social sembra essere rilevante. E la tendenza è la stessa anche in Corea del Sud, Giappone, Gran Bretagna e non solo.

Se prima il regalo che tutti volevano a diciotto anni era una macchina, adesso il più richiesto è il cellulare ultimo modello e il cambiamento dello stile di vita sembra spinga ancora di più in questa direzione. La socialità è sempre meno reale e sempre più virtuale e, ulteriore aspetto da tenere in considerazione, le aziende che muovono internet hanno tutto l’interesse a far sì che i giovani restino connessi quanto più possibile. Sembra ci stiano riuscendo e fa tristezza pensare che esistono giovani che preferiscono stare sul loro cellulare al viaggiare liberi in moto o macchina.

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