A cento anni dal Curioso caso di Benjamin Button
Ricorre oggi il secolo dalla prima pubblicazione de “Il curioso caso di Benjamin Button”, racconto scritto da Francis Scott Fitzgerald, uno ei più grandi scrittori del ventesimo secolo e, possiamo ammetterlo, il più significativo fra gli autori che hanno contraddistinto i “roaring twenties” e l’età del jazz, quel periodo che fa dalla fine del primo conflitto mondiale alla grande crisi del ventinove.
Fitzgerald iniziò la sua carriera di scrittore dopo il congedo dall’esercito e non poter essere inviato in Europa e poter combattere in nome di ideali di giustizia e di democrazia che le biografie dicono lo animassero. Era anche intenzionato, prima di arruolarsi, di raggiungere il padre che si era recato in Russia per appoggiare le posizioni della chiesa cattolica durante la rivoluzione.
Il suo primo romanzo, Di qua dal Paradiso, dopo un travagliato inizio editoriale, venne pubblicato nel 1920, ed ebbe subito un notevole successo che portò ad identificare il suo autore come uno dei portavoce della nuova generazione di giovani americani che erano stati sfiorati dal conflitto e che stavano vivendo un periodo di ripresa economica e culturale, specialmente nelle grandi città. Quegli anni videro il diffondersi della radio come mezzo di comunicazione che portava con sé, oltre alle notizie, la musica jazz e il charleston, il ballo che caratterizzò il periodo del proibizionismo negli Stati Uniti e dell’art déco in Francia. L’automobile iniziò a diventare un mezzo di trasporto nella disponibilità di tutti e non più di lusso destinato a pochi ricchi e il cinema passò dal periodo caratterizzato dai film del genere vaudeville e slapstick ai lungometraggi e si diresse verso il sonoro. Chaplin aveva realizzato nel 1921 “Il Monello” ed iniziava la carriera di Luis Armstrong nei locali di New Orleans prima e di Chicago poi. Nel 1927 Charles Lindbergh effettuò la prima trasvolata dell’Atlantico in solitario e senza scalo. Al cinema, che alla fine degli anni Venti vide la nascita dei Premi Oscar, e alla musica non poteva non affiancarsi la letteratura.
Ernest Hemingway era anche lui un giovane aspirante scrittore così come T.S. Eliot, Erich Marie Remarque e Ezra Pound; tutti trascorsero significativi soggiorni a Parigi e tutti sono ricompresi in quella “generazione perduta” che non aveva rispetto di niente ma era pronta a bere fino a morire, come venne definita dalla scrittrice Gertrude Stein e fatta propria proprio da Hemingway in Fiesta.
Fitzgerald, scrisse alcuni anni dopo quello che è considerato il suo libro più significativo portato al successo anche al cinema: Il grande Gatsby, il romanzo che forse più di ogni altro descrive uno stile di vita molto anglosassone e la vicenda del protagonista (lo stesso autore?) che, come scritto da un suo biografo, “riflette il cuore dei problemi che lui e la sua generazione dovettero affrontare”.
In tutto ciò, la novella di Benjamin Button, che nasce già vecchio e decrepito per percorrere all’indietro il percorso della vita, è un racconto che potrebbe sembrare umoristico se dimentichiamo per un attimo come metta l’uomo di fronte al fatto che affronta la propria esistenza nel modo in cui non vorrebbe si svolgesse e rende l’idea di un’osservazione attribuita a Mark Twain secondo cui sarebbe un peccato che la parte migliore della vita viene all’inizio e la peggiore alla fine. Il paradosso di chi vorrebbe godere della pensione dai venti ai quarant’anni e lavorare i successivi, magari quando si è raggiunta una diversa maturità e consapevolezza.
Il racconto venne successivamente inserito nella raccolta “Racconti dell’età del Jazz” ed oggi è ricordato maggiormente per le trasposizioni cinematografiche che, come purtroppo accade, portano il pubblico a dimenticare il testo cartaceo che ha, forse, come unica pecca di essere troppo breve e focalizzarsi sulla parte narrativa dimenticando di approfondire gli aspetti connessi all’uomo di fronte alle contraddizioni che vive e a come vorrebbe viverle.
Il racconto si svolge in una scena addirittura antecedente la nascita del suo autore, ma Fitzgerald riesce a incorniciarlo perfettamente nel contesto del suo periodo che delle sue contraddizioni, anche bigotte, che portarono al fallito esperimento del proibizionismo.
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