John T. Scopes e il Processo della scimmia

La recente sentenza emessa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in materia di aborto ha scatenato polemiche e discussioni non solo negli States, unica nazione dove si ripercuoteranno gli effetti del provvedimento con il quale è stata rivista la decisione Roe c. Wade del 1973.

Lasciamo questo argomento agli esperti di diritto costituzionale americano, vale a dire coloro che la settimana prima erano sommi conoscitori dell’ordinamento giudiziario italiano e dei quorum referendari e, prima ancora, virologi, geologi e chi più ne ha più ne metta.

Comunque, gli Stati Uniti non sono nuovi a vicende giudiziarie che prendono le mosse da posizioni ideologiche e politiche o, come nel caso del “Processo della scimmia”, scientifiche e religiose. Era esattamente il 10 luglio del 1925, quasi un secolo fa, che a Dayton nel Tennessee iniziò il processo contro un giovane insegnante, John T. Scopes, all’epoca solo venticinquenne, imputato di avere insegnato in un liceo cittadino la Teoria dell’evoluzionismo contravvenendo così al Butler Act, una norma emessa addirittura lo stesso anno da uno Stato che aveva fatto parte della Confederazione sudista durante la Guerra di secessione.

Questa legge proibiva agli insegnanti di negare il racconto biblico sull’origine dell’uomo ed impediva la divulgazione di ogni teoria secondo la quale l’essere umano fosse un’evoluzione di ordini animali inferiori. Era stata introdotta da John Washington Butler, membro della House of Representative che aveva posto alla base del provvedimento l’osservazione che “la Bibbia è il fondamento su cui è costruito il nostro governo americano. […] L’evoluzionista che nega la storia biblica della creazione, così come altri resoconti biblici, non può essere cristiano. […] Va di pari passo con il Modernismo, fa di Gesù Cristo un fachiro, priva il cristiano della sua speranza e mina le fondamenta del nostro governo”.

Nobili principi, probabilmente, ma che non impedirono al professor Scopes, secondo l’accusa, di parlare dell’evoluzionismo darwiniano in una sua lezione. Particolare curioso; l’insegnante stata facendo una supplenza in quanto il suo incarico ufficiale nella scuola era quello di allenatore di football. Il processo fu un fatto oggetto di un forte interesse mediatico e, tra le sue motivazioni, trova anche quella di dare visibilità alla città da parte di un gruppo di uomini d’affari. Restano perplessità sulla sostanza dei fatti e il loro reale svolgimento.

Dopo circa due settimane il processo si concluse con una condanna al pagamento di una somma di cento dollari a carico del docente, decisione che venne riformata in grado di appello per vizi procedurali ma con l’importante statuizione che il Butler Act non era incostituzionale. La norma è stata poi cancellata da una riforma del 1967.

Il Processo della scimmia, così come forse quello recente sull’aborto e, in Italia, i dibattiti su eutanasia e fine vita, richiamano l’attenzione su una questione più importante che, purtroppo, in un contesto dominato dall’opinionismo spicciolo della rete e la voglia di chiunque di trovare uno spazio e dire la sua, passa inosservato mentre, viceversa, dovrebbe avere maggiore considerazione.

Esistono aspetti della vita umana che non possono non essere oggetto di disciplina legislativa ma che muovono da principi etici, morali, filosofici e religiosi che sono, spesso, al disopra delle leggi e devono essere oggetto di valutazione demandato alla coscienza del singolo.

Aborto, matrimonio, fine vita, libertà di insegnamento, ma anche di opinione e di pensiero, non possono essere lasciate alla determinazione di legislatori o giudici del momento, che spesso decidono di pancia, ma oggetto di una profonda riflessione probabilmente a livello globale. Alla base di questi argomenti, e di molti altri, vi sono i diritti inalienabili dell’uomo, quelli sanciti nella dichiarazione dei diritti dell’uomo, fondamento dell’ONU, del 1948 e prima ancora nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789 e nella stessa Costituzione americana.

È una profonda questione di civiltà o ci saranno altri processi Scopes e, per provare a farlo, citiamo Thomas Sowell che ci ricorda come “la questione non è decidere che cosa sia il meglio, ma chi sarà chiamato a decidere che cosa è il meglio”.

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