Analfabetismo di ritorno, catastrofe sociale?

Oggi il 98,6 percento degli italiani è alfabetizzato, vale a dire ha terminato (o perlomeno ci è andato vicino) il percorso di studio che comprende le scuole primarie e quello delle cosiddette medie (anzi, scuola secondaria di primo grado, in omaggio ai campioni della semplificazione burocratica).

Diamo effettivamente atto che la quasi totalità degli italiani è in grado di leggere, scrivere e fare di conto ma, guardandoci intorno, viene da chiedersi in quanti effettivamente siano in grado di usare e sfruttare al meglio questo privilegio che, ricordiamo, in passato spettava a pochissimi fortunati se pensiamo che al momento dell’Unità d’Italia il 78% della popolazione era analfabeta con punte introno al 91% in Calabria, Sardegna e Sicilia.

Lentamente siamo andati verso l’allargamento dell’istruzione e il diritto allo studio è stato sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, carta fondamentale dell’ONU che ci ricorda che: «Ognuno ha diritto ad un’istruzione. L’istruzione dovrebbe essere gratuita, almeno a livelli elementari e fondamentali. L’istruzione elementare dovrebbe essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale, dovrebbero essere generalmente fruibili, così come pure un’istruzione superiore dovrebbe essere accessibile sulle basi del merito».

In Italia il diritto allo studio è nella nostra Costituzione e il Sessantotto ha definitivamente sdoganato la possibilità per tutti di frequentare anche l’università e, anche questo, era un privilegio cui poteva prima accedere solo una élite di privilegiati quasi sempre provenienti da famiglie quantomeno agiate.

Purtroppo, spesso, ci si dimentica che l’altra faccia della medaglia del diritto allo studio è il dovere di studiare, con la conseguenza che si è voluto identificare la possibilità di frequentare la scuola con il diritto ad “un pezzo di carta” che avrebbe aperto le porte al mondo del lavoro. E non importa come sia preso, tant’è che sbocciano come fiori a primavera scuole che garantiscono promozioni o rimborsi in caso di bocciature o altri sistemi facili per avere un qualsivoglia titolo.

Studiare vorrebbe inoltre dire, meglio ricordarlo, non disperdere quel bagaglio di conoscenze e dati acquisiti e sfruttarlo nel mondo del lavoro e nella quotidianità. Non è così. abbiamo già parlato del fenomeno dell’analfabetismo funzionale, ma a questo dobbiamo aggiungere anche quello dell’analfabetismo di ritorno.

Si tratta di quel triste fenomeno attraverso il quale un individuo che abbia assimilato nel normale percorso scolastico di alfabetizzazione le conoscenze necessarie alla scrittura e alla lettura, perde nel tempo quelle stesse competenze a causa del mancato esercizio di quanto imparato. Un analfabeta di ritorno, dunque, dimentica via via quanto assimilato perdendo di conseguenza la capacità di utilizzare il linguaggio scritto o parlato per formulare e comprendere messaggi e, in senso più ampio, di comunicare con il prossimo e con il mondo circostante.

Problemi loro si potrebbe semplicisticamente concludere. Purtroppo, non è così. Infatti, alle conseguenze che può subire il singolo, che vanno dall’esclusione sociale, alla mancanza di autonomia e alla precarietà, non solo nel lavoro, si aggiungono altre ripercussioni a livello sociale ed economico.

Basti in tal senso pensare alla bassa propensione all’innovazione e a recepire le nuove tecnologie se non in maniera del tutto passiva passando così dall’analfabetismo di ritorno a quello funzionale e ai costi sociali che portano ad una scarsa partecipazione ai processi democratici, alle maggiori possibilità di ingresso nel mondo della criminalità e, non ultimo, un maggior costo per la salute dovuto alla mancanza di informazione.

Quadro pessimista e catastrofico? Quante persone vediamo in giro che non leggono perché costa fatica e si “informano” da fonti semplicistiche e inattendibili specialmente sui social? Purtroppo, quello della scolarizzazione sempre stato visto in Italia come un contesto da cui si deve uscire solo con un minimo di nozioni basilari e, in questo senso, non aiutano le politiche che vedono il ruolo degli insegnanti più assimilato a quello di un burocrate mal pagato.

Una riforma radicale della scuola, ma prima ancora del pensiero che ne è alla base, è oggi una necessità che deve essere affrontata.

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