Autostrade, rincari e polemiche
I rincari delle tariffe autostradali a partire dal 1 Gennaio approvati dai Ministeri dei Trasporti e dell’Economia sono ormai una spiacevole ricorrenza. Quest’anno l’aumento medio dei pedaggi è stato del 3,9%, con punte dell’8%, contro una media richiesta dalle società concessionarie pari al 4,8%.
Il ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi ha cercato solo di limitare i danni, affermando di essere riuscito “a contenere gli aumenti grazie all’azione svolta dal ministero”. Tuttavia l’impegno governativo è un palliativo, non solo perché gli aumenti limitati oggi saranno recuperati prossimamente (forse già entro il 30 giugno) ma soprattutto perché un intervento risolutore si avrebbe solo rivedendo le condizioni e i contratti che consentono ai gestori autostradali di chiedere ed ottenere i rincari.
Gli italiani faticano a capire perché i rincari sono mediamente il triplo dell’inflazione e vi sono alcune tratte più tartassate di altre. Ci sono diversi parametri che garantiscono ai gestori dei rincari automatici: l’inflazione programmata, il tasso di produttività attesa e la qualità del servizio; questi ultimi due indici sono connessi agli investimenti sulla rete, tuttavia il gestore che investe sulla sua tratta ha un diritto quasi automatico di richiedere un aumento dei pedaggi. Il governo ha un potere di contrattazione limitato nei confronti delle richieste dei gestori essendo vincolato ad accordi penalizzanti e restrittivi. A noi non sono noti i dettagli ma sappiamo solo in linea generale come si giunge a tali aumenti, inoltre gli accordi negoziati tra Anas (per conto del ministero) e gestori, sono segreti persino ai parlamentari, come se si trattasse di una questione di sicurezza nazionale o di commesse militari.
Il sistema che regola gli aumenti ha molte falle e risulta oltremodo vantaggioso per i gestori e, considerando i numerosi attori coinvolti, risulta difficile per l’esecutivo metterci mano. Un affare all’italiana, tra sprechi, controlli limitati e servizi scadenti, in cui a pagare è sempre il cittadino.
Da una parte ci sono i cittadini che si lamentano per i continui rincari, ingiustificabili ai loro occhi, dall’altro un governo prigioniero dei suoi stessi accordi e per ultima c’è anche l’insoddisfazione dei gestori autostradali visto che lo Stato ormai investe sempre meno in grandi opere e che costruire in Italia non è affatto facile tra per problemi geologici, burocratici, corruzione e criminalità negli appalti. Preso atto anche delle difficoltà dei gestori in Italia, si dovrebbe migliorare il meccanismo del Price Cap, il quale determina i rincari tariffari massimi vincolati a migliorie ed efficienza della rete, il quale premia troppo i gestori che hanno anche carta bianca su un altro aspetto importante: la manutenzione.
In una situazione di scarso potere contrattuale, il ministro Lupi è stato però fermo nel dire che gli investimenti pattuiti coi gestori (in cambio dei rincari tariffari e degli allungamenti delle concessioni) procedono regolarmente e c’è un apposito ufficio ministeriale che vigila: lo Svca (l’ex-Ivca dell’Anas). L’ente creato nel 2006 da Antonio Di Pietro per fare controllare i gestori non ha alcuna voce in capitolo sulle condizioni in cui avviene la manutenzione e su come vengono contabilizzate le cifre spese; per capirci: se un gestore appalta a una sua controllata che poi subappalta a imprese minori, risparmiando anche un 30%, che di fatto “resta in casa” dello stesso gestore-controllante, nei conti su cui vengono determinati i rincari viene considerata la spesa al lordo di questo 30%). Quindi il ministero dovrebbe chiarire come funziona questo ente e garantire regole più stringenti ed efficaci.
In sostanza la legislazione che regola le concessioni, la gestione delle tariffe e gli enti di controllo del sistema autostradale italiano presenta zone di opacità e falle che generano compromessi ed inefficienze degne del peggior sistema Italia. Forse sarebbe ora di cambiare.
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