Bella ciao (Film, 2021)

Rai Tre mette in programmazione un documentario di Giulia Giapponesi su Bella ciao proprio nel periodo giusto, alla vigilia del 25 aprile, festa che da un po’ di tempo a questa parte viene messa in discussione da personaggi singolari che la giudicano divisiva, come la canzone simbolo del movimento partigiano.

In Italia i documentari li sappiamo fare, questo è assodato, la regista compone un film di cento minuti ricco di testimonianze e filmati d’epoca per scandagliare tutti i segreti di Bella ciao, inno dei partigiani, canzone di lotta delle nuove generazioni, hit dei più famosi artisti internazionali e jingle per la pubblicità. Un ottimo lavoro di non fiction per dimostrare che, a distanza di un secolo, la forza di Bella ciao non si arresta; un’opera utile per raccontare la nascita, il percorso, la storia e i misteri della canzone della Resistenza che riappare ovunque si combatta contro le ingiustizie, dall’Iraq al Cile, dall’India agli States. Un canto inarrestabile, oggi patrimonio dell’umanità nella lotta per la libertà.

Fin qui la sinossi. Vediamo le sensazioni che produce nello spettatore un documentario del cuore che comincia descrivendo i fascisti come esseri mefistofelici con il teschio sul basco, brutti come pochi, contro la splendente giovinezza dei partigiani. Il film fa capire quel che è stata la Resistenza attraverso la storia della canzone, ce la fa sentire trasmessa nel 2020 dai minareti delle moschee di Smirne, come segno di protesta, scatenando la reazione di Erdogan, ma anche da Mina e Yves Montand, in celebri ricostruzioni d’autore. I singoli capitoli sono scanditi dai versi (di autore ignoto) della celebre canzone per affermare quanto sarebbe opportuno che in questo secolo nessuno debba più sfilare con le armi in mano. E invece accade, purtroppo, quindi c’è sempre bisogno d’una Bella ciao cinese o turca, coreana o irachena, per spingere gli uomini alla rivolta contro un potere soffocante, contro un barbaro invasore.

Le origini della canzone si perdono nella notte dei tempi, sembra un canto delle mondine, con parole del tutto diverse ma identica musica coinvolgente, un motivo ripreso in tempi di rivolta, cantato dai partigiani per darsi coraggio. La questione genera da tempo un dibattito, perché Bella ciao non risulta nelle raccolte scritte e pubblicate delle canzoni partigiane, sarebbe solo una tradizione orale, per questo c’è chi ha affermato (Bocca, Pansa, Morrone) che non sarebbe mai stata cantata dai partigiani, ma scritta in epoca successiva. Resta un mistero, ma dipanarlo non ha poi grande importanza, fatto sta che Il Nuovo Canzoniere Popolare Italiano la riscoprì e la portò al Festival di Spoleto dove fece scandalo, in un periodo storico in cui era possibile scandalizzare con le idee; successivamente l’hanno cantata in molti, tra i più noti (citati dalla regista) i Modena City Ramblers in versione rock e il gruppo cileno dei Quilapayun (El pueblo unido). La memoria mi fa ricordare anche Giorgio Gaber e Sergio Endrigo, ma nel film non c’è traccia di queste interpretazioni, forse ritenute minori.

La ricerca porta a concludere che la melodia di Bella ciao sarebbe arrivata in Italia dall’Irlanda ai primi del Novecento, ma non sappiamo chi ha scritto le parole definitive, anche perché cambiano di versione in versione. Inoltre, ogni popolo ha la sua Bella ciao con parole diverse, adattate alla situazione politica e culturale. Resta un canto di libertà, uno sfogo contro il potere da Parigi a Santiago, passando per Bogotà, Minsk, Beirut e Tel Aviv.

Bella ciao rappresenta l’opposizione contro ogni tipo d’ingiustizia, unisce la Resistenza italiana contro il nazifascismo alla lotta del popolo curdo contro la Turchia e l’Isis. Certo, è canzone che divide, che può dar fastidio, ma nei suoi versi troviamo l’importanza della memoria, il cammino verso la libertà che non può fermarsi, il ricordo dei nostri morti, che sono con noi, per sempre. Bella ciao è il canto degli oppressi e ricorda a tutti che per vivere bisogna resistere. Non è poco.

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Regia: Giulia Giapponesi. Produzione: Palomar, Rai Documentari, Luce Cinecittà. Soggetto e sceneggiatura: Giulia Giapponesi, Armando Maria Trotta. Fotografia: Gianluca Ceresoli. Montaggio: Francesca Sofia Allegra. Musica: Marco Biscarini. Scenografia: Francesca Bellucci. Interpreti: Vinicio Capossela, Ilkay Akkaya, Cesare Bermani, Eduardo Carrasco, Marcello Flores D’Arcais, Fausto Giovannardi, Mohammed Osamah Hameed, Hazal Koyuncuer, Aimaro Isola, Hilario Isola, Luigi Morrone, Banu Ozdemir, Moni Ovadia, Carlo Pestelli, Floriana Diena Putaturo, Giacomo Scaramuzza. Durata: 100′. Location: Piacenza, Ferrara, Bologna. Paese di Produzione: Italia, 202. Festival, Premi e riconoscimenti speciali: Bergamo Film Meeting; Bif&st Bari evento di apertura.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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