Azzurra Rinaldi (Unitelma) a proposito di Gender pay gap

È Direttrice della School of Gender Economics all’Università Unitelma Sapienza di Roma, inizia la sua carriera di docente e ricercatrice nel 2004 alla Sapienza e lo stesso anno vince un dottorato in Economia e Tecnologie per lo Sviluppo Sostenibile all’Università di Foggia. I temi dello sviluppo e della cooperazione per la riduzione del divario tra le aree più povere e quelle più ricche del mondo sono al centro dei suoi interessi fin dai primi anni di attività. Inizia poi a occuparsi di economia di genere: diventa membro del board della European Women Association e del Comitato Scientifico della Global Thinking Foundation. Un interesse che va oltre la ricerca. Impegnata in diversi progetti sul campo, Azzurra Rinaldi lavora da anni nella cooperazione internazionale per la formazione e l’empowerment femminile in Paesi come Libano e India. Autrice di articoli e libri sui temi del gender gap, dell’economia dei paesi emergenti e del turismo, ha partecipato e partecipa a conferenze nazionali e internazionali per parlare di genere e parità. Attivista dei diritti delle donne, Azzurra Rinaldi si definisce una femminista ed è stata tra le fondatrici dei movimenti “Giusto Mezzo” e “Dateci Voce”.

Buongiorno Azzurra, parliamo di diritti delle donne e gender pay gap, perché una donna economicamente indipendente è sicuramente più forte e sicura e meno soggetta a forme di maltrattamento. Eppure, sembra che in Italia fare figli sia una discriminante, l’ultima notizia è l’arma dei carabinieri che richiede un test di gravidanza alle aspiranti concorsuali, malgrado le giustificazioni addotte la sensazione è che essere madri sia un ostacolo alla carriera dal punto di vista delle aziende e organizzazioni.

È vero, l’Italia non è certo tra i paesi migliori in questo campo, ma la realtà è ancora peggiore. Fino alla legge Gribaudo dello scorso anno, non esisteva nemmeno l’obbligo della raccolta dei dati per analizzare la parità salariale tra uomini e donne. I dati disponibili provengono dal settore pubblico che era già obbligato a fornirli, ma questo non accadeva nel settore privato per le aziende con oltre 50 occupati. Questo comporta che in realtà non sappiamo nulla della situazione generale attuale, avremo dati elaborati alla fine dell’anno corrente, e penso che ci saranno sorprese molto sgradite. Vi sono poi due ambiti da considerare, quello che comporta un lavoro extramurario retribuito, e quello femminile intramurario per la cura di casa e famiglia, non retribuito. Prevedo che i dati che vedremo dal prossimo anno saranno molto peggiori di quello che pensiamo.

La natalità è un parametro fondamentale per il benessere, anche economico, di un paese, l’Italia è in zona negativa, ma non si vede la luce in fondo al tunnel. I dati previsionali vedono una popolazione di 47 milioni di abitanti, con l’attuale tasso di immigrazione, nel 2050. Una situazione simile la ricordo descritta in un libro di Cottarelli, con l’esempio della Svezia che, di fronte un calo delle nascite, attuò delle politiche volte a ribaltare la situazione, riuscendovi. Uno dei pilastri fondanti era impedire che la donna subisse nocumento alla carriera in caso di gravidanza.

Infatti, è veramente pazzesco, basta guardare i dati presentati dalla sottosegretaria Maria Cecilia Guerra al MEF nel bilancio di Genere 2021, all’interno della fascia riproduttiva 25-49 anni, se sei senza figli il tasso di occupazione è pari al 73,9%; se invece hai figli di età inferiore ai 6 anni, il tasso di occupazione scende al 53,9%; se poi quest’ultimo dato si riferisce all’Italia meridionale, si cala ulteriormente al 35%. Nel nostro paese, soprattutto in campagna elettorale, si fa tantissima narrazione su questi temi, ma poi mancano le politiche attuate in tale direzione. Le famiglie fanno figli dove esistono i servizi, non sono un problema della donna, ma un bene di tutta la collettività nella sua interezza. Quali servizi offriamo a chi vuole fare figli? In alcune zone del paese la copertura degli asili nido nella fascia 0-2 anni è al 15%. Le scuole a tempo pieno sono poche e concentrate quasi totalmente al nord, quando alle 13 una bambina di 11 anni esce da scuola, cosa si fa? Ci troviamo di fronte a una visione patriarcale della divisione dei ruoli, si dà per scontato che sia la mamma a occuparsi dei figli nel pomeriggio. Il 70% dei part-time delle donne italiane, sono in realtà involontari, non frutto di una libera scelta. Aggiungiamo la responsabilità dei padri, perché se i problemi fossero spartiti tra tutti e due i genitori, già questo aiuterebbe, per fortuna le nuove generazioni hanno una concezione diversa e più paritaria rispetto il passato. L’empowerment economico è importantissimo per l’indipendenza e la consapevolezza delle donne, pensa che 1 su 3 non ha un proprio conto corrente personale, dovendo chiedere al marito gli euro per le spese proprie e di casa.

Una situazione che si rispecchia nella relazione che presentò il ministro Tria nel 2018, da cui risultava che a inizio carriera la differenza stipendiale uomo-donna è minima, ma tende ad allargarsi vieppiù nel corso della vita lavorativa, ovvero i figli incidono per la quota femminile.

Il problema non è la mancanza di fondi, ma la loro destinazione, Quota 100 è una forma di politica che ha una visione al passato, non certo rivolta al futuro. Le scelte che si fanno nel nostro paese non mettono al centro la donna.

Fra l’altro non si tratta di spese o sussidi, ma di investimenti, analizzando gli studi in materia, anche a livello europeo, si vede come le aziende che impiegano larga quota di donne, anche in posizioni apicali, ottengono risultati economici superiori alle altre.

Assolutamente sì! I dati raccolti da Almalaurea, mostrano che le donne si laureano con voti e meriti mediamente superiori agli uomini, il che significa che diamo alle donne la possibilità di studiare, ma questo poi non si traduce in una pari offerta lavorativa, c’è una sorta di muro culturale che vuole le donne fuori dai centri che decidono in materia di finanza. Le donne sono viste come delle incubatrici di figli.

Secondo i dati di Almalaurea, le donne con laurea hanno un tasso di occupazione del 50,4%, che scende al 28,6% per le diplomate, fino al 14,5% per quelle con solo la scuola media inferiore. Nelle coppie laureate la percentuale di donne lavoratrici è molto superiore alle altre, una formazione di questo tipo, alta, influisce quindi?

Sicuramente sì, ma fondamentalmente è più importante lavorare sulle norme, il fatto che una donna usufruisca di 5 mesi di congedo e l’uomo di soli 10 giorni, influisce fortemente in questo senso. E’ una vera follia che a va a incidere sul mercato del lavoro, non c’è nessuna ragione ostativa per cui non si possa fare come in Spagna, dove i congedi di maternità sono equiparati. In un paese in perenne crisi economica, un’azienda è più portata ad assumere una persona che può stare a casa per 5 mesi o una che non ha questa possibilità, se non per 10 giorni? Ora abbiamo anche la riforma finlandese del governo Marin.

Anche l’Europa si è mossa in tale senso, a marzo scorso la Corte di Giustizia ha stabilito che la parità salariale uomo-donna è uno dei punti fondanti all’interno del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea art. 15). Questo afferma un principio e crea le basi giuridiche per fare valere i propri diritti, anche se non si dovrebbe arrivare in un’aula di tribunale per questi motivi.

Sulla parte retributiva le leggi ci sono, bisogna scardinare il principio culturale e normativo per cui la maternità è un ostacolo alla carriera lavorativa della donna.

Tornando al discorso formazione, la percentuale di donne che si laureano in discipline STEM è la metà di quella maschile, questo malgrado gli eccellenti risultati conseguiti dalla quota femminile.

Su questo c’è una vastissima letteratura, a livello di famiglie e anche accademico, siamo in presenza di un classico stereotipo. I bambini vengono valutati come più portati a queste materie, una recente ricerca fatta negli Stati Uniti, ha evidenziato che già a 6 anni, pur in presenza di una realtà che dice il contrario, i maschi vengono giudicati più bravi delle femmine in matematica. Stesso discorso vale, oltre che per il nord-America, per il sud-America, tutto questo malgrado i voti delle femmine siano superiori a quelli dei maschi, è una questione di aspettative. Nell’immaginario collettivo l’ingegnere è maschio e la maestra è femmina, questo influisce poi sulle successive scelte nel corso della vita. Una donna si trova di fronte ad un ambiente composto quasi esclusivamente da uomini, una situazione che ovviamente si trasforma in un circolo vizioso, il messaggio è che STEM è per i maschi.

Tu sei un’accademica, e puoi toccare con mano quello che ci dicono i numeri, le donne nella posizione di Professore Ordinario sono il 23,7% contro una media europea del 26,2%; nelle discipline tecniche si crolla al 13,8%; arrivando all’assurdo delle materie umanistiche, dove le donne sono molte più degli uomini, ma nella posizione di Ordinario si fermano al 37,4%.

Posso aggiungere che una quota sproporzionata delle donne in posizione di Ordinario non hanno figli, e che la valutazione è fatta sulla continuità delle pubblicazioni fatte. Ovviamente se hai delle maternità la continuità non può essere conseguita. Durante la pandemia fu fatto un bellissimo studio da cui risultava che durante il lockdown il numero di pubblicazione delle accademiche si era ridotto del 50%, viceversa il numero delle pubblicazioni degli accademici era aumentato del 20%.

Il tutto si rispecchia nei risultati della legge Golfo-Mosca, per cui nei CdA si è anche superata la quota normata del 30%, ma questo non si era tradotto nello sfondare il soffitto di cristallo e nelle posizioni apicali esecutive, le donne sono tuttora pochissime.

Verissimo, credo che al momento attuale la cosa da fare in via prioritaria sia ‘formare gli uomini’. E’ necessario fargli capire che bisogna fare spazio alle donne, non solo perché è giusto, ma in quanto conviene anche a loro. I dati dimostrano che le aziende che hanno una significativa quota di donne al proprio interno, hanno risultati decisamente migliori rispetto le altre. Alla fine si tratta di chiedere un piccolo sforzo agli uomini per fare un grande passo in avanti.

Hai accennato alla pandemia, mentre nella crisi del 2008 fu inciso il settore manifatturiero, nella pandemia attuale è stato il terziario a essere colpito, scaricando sulle donne tutto il peso della dad e della casa, oltre lo smartworking. Con la ripresa c’è stato un forte incremento della forza lavoro, ma a fronte di 271.000 ingressi maschili, ce ne sono stati solo 118.000 per le donne.

Purtroppo, è così, anche i fondi europei NGEU e ora PNRR per combattere gli effetti economici della pandemia, sono stati indirizzati quasi totalmente a settori a forte presenza maschile, come il manifatturiero, l’automazione, l’automobile, il digitale e il green (due pilastri del NGEU). Il fatto è che un mondo maschile tende a proteggersi, quando a decidere è una élite fatta di uomini bianchi, etero, 75enni, tendono ad auto-proteggersi. Questo benché il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, abbia esplicitamente dichiarato che la grande opportunità e speranza per il mondo post-covid, sono proprio le donne.

Infatti, ennesima dimostrazione è che alle prossime elezioni manchino totalmente, o quasi, donne capolista, senza differenze di colore politico.

Il sistema si auto-conserva, ma la rappresentanza politica è importante per il cambiamento. Ma è necessario che alle posizioni di vertice arrivino donne moderne e non con una visione patriarcale del mondo.

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