Nazionalismo serbo

La sventurata aggressione russa all’Ucraina, il cui tema ispiratore di fondo è il ritorno alla grande Russia, ha risvegliato una bestia dormiente: il nazionalismo serbo, anch’esso alimentato dall’aspirazione al ritorno alla grande Serbia (loro la chiamano “mondo serbo”, ma è la stessa cosa).

L’obiettivo è riunire alla Serbia i serbi che vivono nel Kossovo e quelli che vivono nella Bosnia. Ricordiamo che fu questa aspirazione che mosse i serbo-bosniaci, spinti e sostenuti da Belgrado, dove regnava il criminale Milosevic, a scatenare una guerra sanguinosa, che portò all’occupazione di Sarajevo, alle “pulizie etniche” e alla morte di più di 100.000 civili di altra etnia (specie croati e musulmani) per cercare di affermare il dominio serbo su tutto il Paese. In seguito, la follia nazionalista portò Milosevic a inviare le sue truppe in Kossovo. Dopo vani tentativi dell’ONU e dell’Europa, fu alla fine la NATO, con la guida degli Stati Uniti, a fermare il massacro a metà degli anni Novanta, prima con i suoi aerei che bombardavano le postazioni serbo-bosniache che assediavano Sarajevo e obbligandole a ritirarsi.

Fu solo la decisa azione dell’Alleanza – voluta dall’allora Presidente Clinton, e appoggiata dagli alleati principali, specie Francia e UK, ma anche dall’Italia, dove al governo c’era Lamberto Dini – che portò agli Accordi di Dayton, negoziati dal mio amico Richard Holbrooke, accordi che portarono alla pace, garantita dall’invio di truppe della NATO in Bosnia (65.000 uomini, tra cui anche 2500 italiani). Holbrooke convinse Milosevic a mollare il suo appoggio ai serbi di Bosnia.

La Russia di Eltsin non si oppose, anzi cercò di unirsi all’azione sul campo della NATO e all’ONU votò la risoluzione che approvava Dayton. Ricordo tutto questo come se fosse ieri, perché accadde nei cinque miei anni come Rappresentante Permanente d’Italia alla NATO. Ricordo le riunioni anche notturne del Consiglio Permanente, le visite a Sarajevo, le agitate telefonate con la Farnesina e Palazzo Chigi. Tutto finì bene, poi Milosevic ci riprovò attaccando il Kossovo. Anche allora, fu il fermo e duro intervento NATO a fermarlo ma si dovette ricorrere a bombardare Belgrado.

Quei tempi sembravano passati. I dirigenti serbo-bosniaci, Karazic e Mladic, sono stati condannati alla Corte dell’Aja come criminali, Milosevic è scomparso. A meno di trent’anni di distanza, però, la tragedia potrebbe ripetersi, per il nazionalismo del leader serbo Vucic, e l’appoggio di Putin. Inutile dire che questa volta una guerra sarebbe molto vicina a noi e infiammerebbe ancora di più le tensioni in Europa. L’UE, questa volta, ha varie armi in mano perché ha ancora sue truppe in Bosnia e, soprattutto, può bloccare le aspirazioni di Belgrado di entrare in Europa. Ma dovrebbe ancora una volta intervenire la NATO, e non sappiamo (però possiamo immaginare) le reazioni della Russia putiniana.

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