Cinzia Pilo (Reb ETS): Personal Social Responsibility
È una manager con più di venti anni di esperienza in ambito finanziario e dei pagamenti digitali in grandi multinazionali, dove ha ricoperto vari ruoli da dirigente a livello internazionale. Madre di un bambino “farfalla”, da più di dieci anni Cinzia Pilo mette la sua professionalità al servizio della ricerca scientifica e dell’assistenza ai malati e alle loro famiglie. Nel 2013 è entrata nel board di Debra Italia Onlus, di cui è presidente dal 2015. Nel biennio 2015-16 è stata Presidente di Debra International, l’associazione che coordina le attività di oltre 50 Debra nel mondo. Nel 2017 ha fondato la Fondazione Reb ETS, con l’obiettivo di costruire il primo registro italiano delle persone affette da tale malattia (la Epidermolisi Bollosa) e rimuovere gli ostacoli alla ricerca scientifica sull’EB in Italia. Recentemente ha lasciato il mondo finanziario e ha deciso di dedicare le sue competenze e il suo tempo esclusivamente a progetti, enti, aziende e persone che rispettino i principi etici di tutela dell’ambiente, del rispetto dei diritti umani e delle diversità anche in ambito aziendale. Ha scritto e pubblicato il libro Personal Social Responsibility – Leadership e competenze manageriali al servizio del Terzo Settore (edito da Flaccovio), un saggio che racconta anche la sua storia e riassume il suo pensiero sui principi etici che dovrebbero guidare l’operato dei grandi manager aziendali.
Buongiorno Cinzia, hai scritto questo bellissimo libro, “Personal Social Responsability”, un titolo forse ingannevole, fa pensare a un manuale, ma in realtà parte da una toccante esperienza personale che stai tuttora vivendo.
È proprio così. Il mio libro è annoverato tra i saggi di economia e business, ma in realtà nasce dalla mia esperienza personale, da quello che io chiamo il “mio cigno nero”, per dirla filosoficamente con Taleb. Il cigno nero è un evento rarissimo e inaspettato capace di stravolgere gli eventi dopo il suo verificarsi e di produrre anche effetti benefici. È quello che è capitato a me alla nascita del mio secondo figlio, un momento che doveva essere il coronamento di una vita perfetta. Invece si è trasformato nel momento di “abisso più profondo”, come lo definisco nel libro, in seguito alla diagnosi per mio figlio di Epidermolisi Bollosa (nota anche come sindrome dei Bambini Farfalla), una malattia genetica rara, devastante, incurabile, negletta e con scarse aspettative di vita. Questo evento, dopo i primi mesi di shock e depressione, ha provocato in me una serie di riflessioni, la decisione di reagire e lottare per mio figlio e per gli altri bambini affetti dalla stessa malattia o altre malattie rare, e un susseguirsi di avvenimenti che mi hanno portato a dedicarmi al sociale, al Terzo Settore, in parallelo alla mia attività da dirigente in multinazionali.
Non si può non rimanere toccati dalla tua storia e dalla grande forza d’animo che hai dimostrato, quello che ti è capitato ha portato alla scoperta del vasto mondo delle onlus, a cui ti sei dedicata creando anche una fondazione.
Ho deciso di mettere a disposizione le competenze che ho maturato in ambito profit al servizio del no profit. Questo mi ha avvicinato al mondo del Terzo Settore, che ha grande bisogno di competenze e di approccio manageriale. Allo stesso tempo ho imparato tantissimo di un mondo che non conoscevo. Per dodici anni mi sono dedicata in parallelo a due “lavori”: uno retribuito, a cui dedicavo la quasi totalità del mio tempo e uno svolto su basi volontarie ma in maniera ugualmente professionale, sacrificando gran parte del mio tempo libero, i weekend e le ferie, come Presidente di Debra Italia Onlus, l’associazione che si occupa di tutte le attività in ambito socio-sanitario per i bambini farfalla e le loro famiglie. Sono stata anche Presidente della organizzazione mondiale, Debra International, un’esperienza altamente formativa sulle ONG e le attività di impatto sociale a livello internazionale. Nel 2017, dopo varie considerazioni e il confronto con esperti, ho deciso di creare anche Fondazione REB, che si focalizza sulla ricerca scientifica e farmacologica.
Ci sono alcuni punti che vengono messi in luce in questa opera, nella prima parte si scopre il mondo delle malattie genetiche rare, come anche il fatto che esiste una sanità pubblica efficiente, ma che risulta difficile capire il percorso migliore da seguire in caso di necessità.
Il libro effettivamente può essere diviso in tre parti. La prima racconta la mia esperienza personale; la seconda è una sorta di manuale per tutte le persone che ricoprono ruoli apicali nelle aziende, che vuole fungere da incitamento e guida pratica affinché dedichino le loro alte competenze anche ad attività in ambito sociale; la terza riguarda le interviste che ho fatto a personalità che hanno fatto questa scelta. Nella prima parte parlo del mondo delle malattie genetiche rare che è caratterizzato da pochi esperti concentrati in pochi centri ospedalieri. Questa è la conseguenza ovvia della scarsità dei malati in questo genere di malattie. Perciò, oltre alla difficoltà rappresentata dalla poca conoscenza di queste condizioni, sia da parte dei medici che dai famigliari (quando mio figlio è nato, per esempio, io non avevo mai sentito parlare della sua malattia), c’è il problema di trovare un centro specializzato, possibilmente multidisciplinare, a cui fare riferimento. Per questo motivo, ad esempio, l’attività degli enti del Terzo Settore che si occupano di malattie rare è fondamentale nel supportare malati e famiglie o i loro caregivers nel districarsi in tutto quello che occorre sapere e saper fare.
Il titolo del libro è particolare, quali sono le differenze tra la Personal Social Responsibility e la Corporate Social Responsibility?
Il concetto di PSR, Personal Social Responsibility, è completamente nuovo e in un certo senso l’ho coniato io, perché al mondo non esisteva niente a riguardo. Come detto è nato a seguito della mia esperienza personale in cui ho coniugato competenze maturate in ambito profit al servizio del no profit, e viceversa. Nel mio libro, infatti, né dò per la prima volta la definizione utilizzando il metodo giornalistico delle 5 W (who, what, when, why, where): si ha PSR quando un/a manager o professionista contribuisce ad una causa sociale in parallelo al proprio lavoro principale, spinto/a dal suo purpose personale, ovunque sia necessario o possibile farlo. Come evidente, l’aspetto personale del moto che spinge all’azione è diverso rispetto a quello ben più noto della CSR, Corporate Social Responsibility, in cui è un’azienda che decide cosa e come dedicarsi ad una o più attività di impatto sociale, stabilendo un suo eventuale purpose. Nel caso della CSR, a volte anche i dipendenti possono venire coinvolti in queste attività ma è molto difficile che il purpose aziendale corrisponda a quello personale di chi lavora nell’azienda. Questo ovviamente non significa che esse non lo possano sposare, e anzi auspico che sempre più aziende inseriscano nelle proprie strategie obiettivi di business che tengano conto del loro impatto sull’ambiente e sulla società, implementando politiche cosiddette di ESG (Environnemental, Social and Governance).
Il tema “non ho tempo” è toccato spesso nel tuo scritto, pensi che venga a volte usato per non impegnarsi?
L’obiezione dello scarso tempo a disposizione è quella più comunemente usata da parte di persone che ricoprono posizioni apicali che, effettivamente, sono sempre molto occupate. Non penso che sia una scusa ma piuttosto una loro reale percezione. Proprio per questo nel libro dedico spazio a capire come affrontare questo punto. In realtà, se esiste una vera motivazione, grazie a una buona organizzazione, che è una skill che qualsiasi manager deve avere, tutto si può fare.
Un altro fattore pregnante del libro è la seconda parte, dedicata a tutto quello che si deve sapere per creare o efficientare una onlus di volontariato, risulta tutto molto interessante e approfondito.
Questa parte è quella dove appunto ho voluto generalizzare, provando a schematizzarlo, tutto quello che ho imparato in oltre dieci anni di attività nel Terzo Settore, e oltre venti nel mondo profit internazionale, fornendo una sorta di manuale d’uso organizzato in sette tips. L’obiettivo è fornire a chiunque i principali elementi da considerare per dedicarsi, fondare o contribuire alle attività di un ente senza scopo di lucro. Affronto perciò le tematiche che dopo riflessioni, approfondimenti e modifiche sono secondo me gli aspetti principali di cui tenere conto: il purpose, l’organizzazione, la scelta del team, l’aspetto delle finanze e del fundraising, gli aspetti normativi, la comunicazione e infine l’importanza dello sviluppo e mantenimento del network. Alla fine, scrivere questa parte è stato semplice perché ho pensato a cosa sarebbe stato utile che io sapessi, o che qualcuno mi insegnasse, quando ho iniziato ad approcciare il mondo del Terzo Settore oltre dieci anni fa. Tutto quello che scrivo l’ho imparato lavorando, sbagliando e ritentando. Spero che possa essere utile a chi voglia approcciare questo mondo da zero, come ho fatto io.
Di grande interesse ho colto la parte dedicata al volontariato, che smentisce il luogo comune per cui un volontario è quello che va a pulire o servire pasti caldi, ma in questo caso dedica agli altri la sua preparazione professionale, ovvero fa gratis per chi non può permetterselo, quello di cui ha competenza.
In realtà questo è il concetto cardine della Personal Social Responsibility, che si basa proprio sull’offrire alte competenze specialistiche, e perciò rare e costose, e non solo attività fisiche che chiunque può svolgere. In realtà le attività professionali possono essere svolte su basi volontarie, ma sarebbe bello se persone che svolgono professioni di alto livello decidessero di dedicarsi al Terzo Settore in parallelo, magari facendolo diventare gradualmente, un giorno, il loro lavoro principale. Questo è ad esempio il percorso che alla fine ho fatto io.
Su questo argomento troviamo tante interviste sull’argomento nella terza parte del libro, come quella ad Antonio Mumolo, già cittadino europeo dell’anno 2013 e perfetto testimonial di quanto detto.
Ho deciso di dedicare la terza parte del libro ad alcune interviste a parsone che in modi molto diversi applicano il concetto della PSR. L’avvocato Antonio Mumolo è un perfetto esempio: è un avvocato che andava a distribuire pasti caldi ai senzatetto a Bologna. Si è però reso conto che le sue competenze potevano essere molto più utili alle persone che incontrava. Ha così deciso di iniziare a fornire assistenza legale gratuita agli ultimi degli ultimi. Col tempo, ha ampliato questa attività coinvolgendo altre/i colleghe/i, ha fondato Avvocati di Strada Onlus che rappresenta oggi lo studio legale più grande d’Italia, con oltre 1.000 avvocati coinvolti in oltre 50 città.
Progetti futuri?
I miei interessi professionali sono ora rivolti esclusivamente a progetti, organizzazioni, persone che sposino i principi del rispetto dell’ambiente, dei diritti umani, delle ricadute sociali del proprio operato e che considerino questo tipo di impatti nelle loro attività, oltre al profitto. Tra i miei progetti futuri, oltre alla promozione del mio libro, che sta riscuotendo molto interesse ed è stato inserito dall’Università Bocconi tra le letture consigliate sulle tematiche ESG, ci sono diverse iniziative, tutte già avviate: innanzitutto mi sto dedicando con molto più tempo alle organizzazioni di cui sono Presidente, Fondazione REB ETS e Debra Italia Onlus, strutturando programmi molto più ambiziosi con case farmaceutiche e istituzioni per accelerare la ricerca scientifica sull’EB e migliorare la qualità della vita delle persone “farfalla”; a questo proposito sto anche costruendo nuove partnership con altri enti del Terzo Settore. Sto avviando poi progetti che riguardano la tematica ESG più estesa, non solo perciò la sanità, e sto scrivendo un altro libro. Ma su questi preferisco parlare quando saranno pronti.
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