Sessant’anni fa l’inizio di una lunga marcia contro l’apartheid
La terza edizione della Coppa del Mondo di Rugby si svolse nel 1985 in Sud Africa e fu la prima edizione a cui parteciparono i padroni di casa che vinsero il Trofeo. Fu un’edizione storica e la prima a cui poterono partecipare gli Springboks che, prima, avevano dovuto subire il boicottaggio internazionale verso lo sport sudafricano a causa delle politiche di apartheid in vigore nello Stato all’estrema punta meridionale dell’Africa.
Nel 1948 erano entrate in vigore pesantissime restrizioni nei confronti della popolazione di colore del Sudafrica, dopo la vittoria elettorale del Partito Nazionale che venne addirittura estesa nel 1956 anche nei confronti degli asiatici.
I cittadini vittime di questo sistema, tra l’altro, furono privati di ogni diritto politico e civile, e potevano frequentare esclusivamente scuole agricole e commerciali speciali. I negozi erano obbligati a servire tutti i clienti di etnia bianca prima degli altri e i cittadini non bianchi dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone riservate alle etnie bianche, pena l’arresto.
Il primo passo verso l’abrogazione dell’apartheid può essere considerato il discorso dell’allora premier inglese Harold McMillan che, nel 1960, anche spinto dalle preoccupazioni per gli effetti degli scontri che si registravano negli allora Congo Belga e Algeria Francese con i separatisti, si recò in Africa per pronunciare le parole “Il vento del cambiamento soffia attraverso questo continente e che ci piaccia o no, questa crescita della coscienza nazionale è un fatto politico Dobbiamo tutti accettarlo come un fatto e le nostre politiche nazionali devono tenerne conto“.
Erano evidenti le preoccupazioni del Governo Britannico che sicuramente voleva evitare l’allargarsi della lotta nazionalista armata sui territori controllati e, non a caso, venne accelerato il calendario delle indipendenze delle colonie che fu concessa al Tanganica nel 1961, all’Uganda nel 1962 e al Kenya nel 1963.
Nel mondo montava la protesta contro il regime razzista di Pretoria e negli stessi anni i movimenti antirazzisti e antisegregazionisti stavano facendo sentire la loro voce ad iniziare dagli Stati Uniti dove Rosa Parks aveva rifiutato di cedere il posto a sedere su un autobus ad un bianco e Martin Luther King era pronto a pronunciare il suo “I have a dream”.
L’ONU non rimase passiva a queste voci che si alzavano e, esattamente il 6 novembre 1962, proprio sessanta anni fa, emanò la risoluzione1761 con la quale venivano condannate le politiche di apartheid che venne non solo condannato come sistema ma anche indicato come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali in violazione della Carta Costitutiva delle Nazioni Unite.
Nello stesso documento veniva richiesto agli Stati membri di interrompere le relazioni diplomatiche con il Sud Africa ed ogni forma di commercio in particolare quello di armi e, infine, anche di vietare la circolazione di navi e aerei sudafricani.
La risoluzione istituiva anche il Comitato speciale delle Nazioni Unite contro l’apartheid che, peraltro, venne originariamente boicottato dalle nazioni occidentali, a causa del loro disaccordo con alcuni aspetti della risoluzione che chiedeva il boicottaggio economico del Sud Africa; tuttavia riuscì a trovare alleati in Occidente, come il Movimento Anti-Apartheid con sede in Gran Bretagna, attraverso i quali poté gettare le basi per consentire l’accettazione da parte delle potenze occidentali della necessità di imporre sanzioni economiche al Sud Africa e creare la giusta pressione per i necessari cambiamenti politici.
Dal 1962 il percorso fu però lungo e solo nel 1994 si tennero le elezioni che portarono all’elezione come presidente del Premio Nobel Nelson Mandela che, all’epoca, subiva una serie di arresti che culminarono anche con la condanna ad un ergastolo e a 26 anni di detenzione. Il periodo di transizione dal regime dell’apartheid al nuovo corso politico fu addirittura gestito da un tribunale speciale istituito nel 1995 a Città del Capo, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission, TRC).
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