E-democracy, siamo davvero pronti?
Che cosa non facciamo da uno smartphone? Probabilmente qualcuno risponderebbe che non serve a fare le patatine fritte ma sarebbe smentito perché dalla tastiera di un cellulare è possibile inviare un input alla nostra cucina e trovare un piatto colmo di chips al nostro rientro insieme ad un bagno caldo. È la cibernetica applicata alla casa: la domotica. Quindi perché non demandare anche la democrazia alle macchine?
La E-democracy, o democrazia elettronica, nota anche come democrazia digitale o democrazia di Internet, consiste nell’uso delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) nei processi politici e di governance. Il termine sembrerebbe sia stato coniato dall’attivista digitale Steven Clift, che ha anche creato la sua organizzazione per promuovere l’impegno inclusivo online, la condivisione delle conoscenze del governo aperto globale e la tecnologia civica innovativa.
La democrazia elettronica incorpora la tecnologia dell’informazione e della comunicazione portate dalla rivoluzione digitale al fine di promuovere la democrazia; tali tecnologie includono la tecnologia civica e la tecnologia governativa. Si tratta di una possibile forma di governo nella quale, si presume, tutti i cittadini maggiorenni potranno partecipare alla proposta, allo sviluppo e alla creazione delle leggi.
Il voto con un click? Una forma di democrazia realmente partecipativa? In alcune nazioni europee viene usato e si discute se allargarne l’utilizzo. Se guardiamo all’esempio italiano con l’esperienza del movimento Cinque Stelle nascono fondati dubbi sulle modalità effettive per lo svolgimento di una simile forma di democrazia che, in ogni caso, deve essere demandata ad un sistema software, una piattaforma e ad algoritmi che elaborano i dati che vengono immessi.
Prescindendo dalla circostanza che i creatori e gestori del sistema potrebbero eludere forme di controllo, immaginiamo cosa potrebbe accadere se, ad esempio, un folto gruppo di utenti decidesse di attaccare una minoranza religiosa o una maggioranza di portatori di lentiggini.
Diamo doverosamente atto dell’utilità in ogni campo pratico e delle possibilità che internet e i computer hanno dato all’umanità, ma demandare il voto alle macchine e ai suoi utilizzatori ingenera non poche perplessità anche a fronte delle considerazioni del neuroscienziato tedesco Manfred Spitzer che, senza mezzi termini, intitola il suo libro sull’argomento Demenza Digitale. Demandare il voto a chi presenta mancanza di saggezza, di equilibrio, di buon senso, frutto di un processo regressivo caratterizzato da perdita delle capacità intellettive dovuta a lesioni della corteccia cerebrale o ad atrofia delle cellule, è inquietante. Ed è questa la situazione che, secondo Spitzer, caratterizzerà in particolare i giovani utenti che utilizzano in misura eccessiva le attuali tecnologie e meno il loro cervello, con danni che potrebbero essere anche irreparabili.
Diamo atto che molti soggetti sono afflitti dalla stessa patologia anche nella vita di oggi e senza l’uso di device elettronici, ma pensare che un voto elettronico sia demandato a una generazione afflitta da un abuso di internet e social e con la possibilità che le macchine controllino le modalità proprio di quel voto, lasca presagire immagini da Grande Fratello.
Anche se il quadro che traccia Spitzer è a tinte fosche, non dovremmo essere pessimisti; tutto ciò non dovrebbe mettere in pericolo le democrazie e si confida che la rete venga utilizzata come strumento di diffusione di sapere e conoscenza, oltre che di formazione di un pensiero politico. Tuttavia, demandare alle macchine anche il voto induce a riflettere.
Viene da parafrasare Giovanni Guareschi e il suo celebre slogan “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede e Stalin no!” in un più moderno “Anche se Google sa che ti trovi all’interno della cabina elettorale, non può vederti… ma può controllare il tuo click”.
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