Cronache dai Palazzi

Continuano le vicende attorno al 41 bis e una parallela fuga di informazioni. Palazzo Chigi sottolinea che “la sfida è allo Stato e lo Stato ci riguarda tutti, Non è un tema di destra o di sinistra”. Inoltre “il governo non ha fatto altro che il suo lavoro, facendo molta attenzione a non alzare i toni”, ha puntualizzato il presidente del Consiglio. “Noi abbiamo semplicemente espresso la solidarietà”, ha sottolineato la premier Meloni, aggiungendo: “Io consiglio francamente prudenza, perché ho letto titoli di giornali allarmanti e gli anarchici che dicono di voler punire i mandanti quindi consiglio responsabilità. Vorrei che fosse chiaro che la sfida non è al governo ma allo Stato, non è un problema politico”. Nel contempo la premier ha evidenziato che “il ministro Nordio ha risposto nel merito” e infatti, riferendo sia alla Camera sia al Senato, Nordio ha chiarito che “tutti gli atti riferibili a detenuti in 41 bis sono per loro natura sensibili. Ragion per cui a fini di un’ostensione occorre una preventiva verifica”. A Montecitorio nel frattempo è stato istituito un giurì d’onore a proposito del caso Donzelli.

Sul fronte dell’Autonomia differenziata, il Consiglio dei ministri approva invece unanime la bozza Calderoli e la Lega parla di “giorno storico” mentre il presidente del Consiglio ribadisce che “questo governo manterrà gli impegni presi”, in quanto “la coerenza con il mandato avuto dai cittadini, per noi, è una bussola”, sottolinea Meloni. L’obiettivo dell’esecutivo è “costruire un’Italia più unita, più coesa”, anche in virtù dei cosiddetti Lep (Livelli essenziali della prestazione) la cui funzione sarà superare i “divari” esistenti, permettendo alle Regioni che lo richiederanno di “gestire direttamente materie e risorse e dare ai cittadini servizi più efficienti e meno costosi”.

In pratica ogni Regione avrà la possibilità di chiedere allo Stato nuove funzioni insieme alle risorse “umane, strumentali e finanziarie” per svolgere in maniera adeguata i vari compiti e offrire ai cittadini servizi più efficienti. Sono dieci gli articoli di cui si compone il disegno di legge di attuazione dell’Autonomia differenziata firmato dal ministro Calderoli e 23 le materie fino ad ora di competenza dello Stato centrale che in un prossimo futuro potrebbero passare nelle mani delle Regioni, se richiesto. Tra le materie maggiormente compromesse vi è l’istruzione, che molto probabilmente non sarà mai effettivamente devoluta; molto discussa è anche la competenza sull’energia e sulle reti. Un punto fermo sembra essere che “da ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Ha già suscitato una certa discussione, ad esempio, il fondo di perequazione che sembra essere necessario per la “promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale e della rimozione degli squilibri economici e sociali”.

In definitiva, il disegno di legge sull’Autonomia differenziata approvato in Cdm definisce “i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia” oltre alle “modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”. Secondo il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie l’iter della legge durerà circa un anno. Il ddl approvato, una volta divenuto legge dello Stato, consentirebbe l’attuazione della riforma costituzionale del 2001 (titolo V). Le Autonomie seguiranno un percorso parlamentare, e istituzionale normale, piuttosto articolato ma non si prevedono doppie approvazioni distanziate come accade per le riforme costituzionali. Durante il percorso ogni intesa sarà siglata da due firme: quella del presidente del Consiglio e la firma del presidente della Regione. Dopodiché l’accordo approderà di nuovo in Parlamento.

Il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, si congratula con la premier Meloni in quanto “ha mantenuto la parola”; nel contempo gli alleati di FI rivendicano le loro azioni affinché non ci siano “cittadini di serie A e di serie B”. I forzisti sottolineano che è solo “l’avvio di un percorso che dovrà essere condiviso in Parlamento e che potrà ritenersi concluso soltanto dopo la definizione dei Lep e del loro effettivo finanziamento”.

Trattandosi di una sorta di legge quadro con un’articolazione piuttosto complessa, il ministro Roberto Calderoli invita a non criticare il testo “senza leggerlo prima”. Il disegno di legge sulle Autonomie individua in effetti tutti i passaggi necessari prima che le Regioni che faranno richiesta possano diventare più autonome nell’esercizio di determinate funzioni e nel decidere specifiche voci di spesa a proposito di 23 materie. I tempi sono comunque non brevi e il ministro Calderoli auspica la conclusione dell’iter entro il 2023, con una chiara definizione dei Lep. Il ministro Raffaele Fitto annuncia inoltre il fondo perequativo per le Regioni che non intendono richiedere l’Autonomia, in quanto non si intende “spaccare il Paese”.

A proposito di riforme fondamentali in cantiere, la ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati riporta a sua volta in auge il presidenzialismo e ribadisce che si sta lavorando per raggiungere una condivisione con le opposizioni che, nello specifico, si sono dimostrate alquanto critiche riguardo all’Autonomia. “La bozza è irricevibile e noi siamo pronti alla mobilitazione”, ha affermato duramente Stefano Bonaccini, tra i candidati alla segretaria del Partito democratico. Sulla stessa lunghezza d’onda l’altra candidata alla segreteria dem, Elly Schlein, che lo definisce uno “schiaffo della Meloni al Sud”. Non è tenero nemmeno il giudizio del leader pentastellato, Giuseppe Conte, per il quale si “svende l’unità d’Italia per qualche punto in più alle regionali”. Il rischio è che la riforma acuisca le disparità, già piuttosto marcate, tra Nord e Sud e tra i cittadini in generale, in base al luogo in cui si risiede e in base alle proprie condizioni economiche. “Si contrappongono territori forti e territori deboli – ammonisce Bonaccini -. È l’egoismo territoriale”. Critici anche il segretario della Cgil Maurizio Landini e i sindaci di Recovery Sud, per i quali “il sistema meridionale rischia il collasso”.

Da Palazzo Chigi assicurano comunque la centralità del Parlamento nel processo che porterà al punto di arrivo della legge, e diverse fasi di verifica delle intese tra Stato e Regioni. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ribadisce che “Giorgia Meloni ha garantito che i diritti dei cittadini non saranno toccati e il Parlamento sarà il luogo di ogni decisione”. Eliminato ad esempio il parametro relativo alla spesa storica ritenuto limitante dai governatori del Sud. Il lavoro più gravoso riguarda la definizione dei Livelli essenziali di prestazione, i cosiddetti Lep, che dovranno essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e i costi e fabbisogni ad essi relativi, parametri che saranno determinati con uno o più decreti del presidente del Consiglio. Per la definizione dei Lep è stata istituita un’apposita cabina di regia che dovrà portare a termine il lavoro entro il 2023. Il provvedimento passerà poi alla Conferenza unificata (governo, Regioni, Province e Comuni) per l’intesa, che si dovrà raggiungere entro due o tre settimane, per poi essere approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri ed essere successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione del parere.

Sul fronte estero, la premier Meloni, dopo essere stata a Stoccolma, incontra il cancelliere Olaf Scholz a Berlino e ribadisce il rapporto tra Italia e Germania: la “cooperazione” tra i due Paesi è “fondamentale per l’Ue”, in quanto “Italia e Germania sono nazioni legate da un rapporto bilaterale esteso a quasi tutti i settori della vita pubblica e privata”. Al centro dell’incontro bilaterale la politica europea e “la flessibilità nell’uso dei fondi Ue”. La premier italiana invita alla “cautela sugli aiuti di Stato e chiede una rapida risposta Ue per rafforzare la competitività”. Ed ancora “la ricalibratura del Pnrr sulla base delle emergenze”, in primo luogo alla luce delle necessità legate agli approvvigionamenti di energia.

In seguito ai viaggi nei Paesi del Nordafrica, la premier Meloni ha affermato che “l’Europa ha un problema legato all’energia e non può guardare alla Russia, deve guardare a Sud. L’Italia per la sua posizione nel Mediterraneo, può diventare non solo autonoma e forte, ma la porta da cui passare per avere il gas in Europa. Il mio obiettivo è l’Italia come hub energetico europeo”, afferma Meloni, assicurando forniture di gas naturale ma anche diventando rapidamente “uno snodo per l’idrogeno verde”. In sostanza “l’Italia ha un’occasione e questo governo se la vuole giocare fino in fondo”.

A proposito della questione migranti, infine, l’Italia “sia sostenuta” dall’Europa “nella difesa dei confini esterni dell’Unione”. Tutti i suddetti temi saranno affrontati nel corso del Consiglio europeo straordinario della prossima settimana (9 e 10 febbraio), oltre al “sostegno politico, finanziario, militare” da garantire all’Ucraina affinché Kiev possa “esercitare il proprio legittimo diritto all’autodifesa”, in sostanza “fino a quando sarà necessario”.

La premier Meloni ha citato anche il caso Cospito sottolineando i pericoli che derivano dalle fronde anarchiche. È un problema “che riguarda tutti” e occorre non dividersi di fronte alle minacce contro lo Stato. Dei parlamentari italiani sono sotto scorta a causa degli ultimi eventi contro il 41 bis e questo “non è mai una vittoria”, ha sottolineato il presidente del Consiglio.

A proposito di informazione, il presidente della Repubblica la definisce “un bene” che “gode di esplicita tutela costituzionale”, l’art. 21 della Carta. Il presidente Mattarella nel suo discorso in occasione del sessantesimo anniversario dell’Ordine dei giornalisti sottolinea il valore di una stampa libera che “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. I giornalisti, aggiunge il capo dello Stato, hanno una “responsabilità enorme” che risulta “accentuata dalla moltiplicazione delle fonti di informazione offerta dalla rivoluzione del web”. In sostanza alla professione giornalistica “viene affidato il ruolo di espressione della libera critica secondo doveri di lealtà e buona fede”. In questo contesto “ai fini della libera formazione delle opinioni dei cittadini”, i giornalisti sono tenuti al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. In definitiva l’autonomia professionale di ogni giornalista e l’autogoverno della categoria, come per ogni altro ordine professionale, non può prescindere dalla “essenziale e preziosa funzione di difesa della deontologia”, alla luce delle nuove sfide che il mondo dell’informazione deve affrontare, tra cui le diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale.

Dal primo febbraio è infine entrato in vigore il Trattato del Quirinale, siglato nel 2022 tra Italia e Francia, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esortato i due Paesi a compiere uno slancio di qualità, necessario per rendere operativo uno strumento politico che non deve essere sottostimato. Il Trattato del Quirinale si fonda su “una comune visione del futuro” e ha l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra Roma e Parigi, in quanto Italia e Francia hanno bisogno di procedere in accordo a proposito di diversi dossier delicati riguardanti questioni economiche, i migranti, la Difesa e quindi anche il sostegno all’Ucraina. Il conflitto tra Mosca e Kiev ha messo a rischio “la sicurezza e la prosperità globali” e, insieme al altre emergenze, impone all’Unione europea di “rispondere con rapidità ed efficacia”. In definitiva, in un contesto alquanto complesso sul fronte internazionale, nazionale e comunitario, il capo dello Stato auspica un clima politico di dialogo e di condivisione tra Palazzo Chigi e l’Eliseo, con l’obiettivo di “stimolare un ulteriore consolidamento del processo di integrazione del nostro continente e un rafforzamento delle istituzioni comuni”. Occorre necessariamente superare le divisioni ed essere all’altezza delle innumerevoli sfide del mondo in cui viviamo.

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