OMA: l’arte nel Recycling
Nasce in Sardegna a Sassari, si diploma in Arte del Tessuto e in seguito all’Accademia di Belle Arti di Bologna con specializzazione in Scenografia del Melodramma. Ha collaborato con produzioni cinematografiche e teatrali indipendenti, allestimenti museali e ha realizzato vetrine commerciali. Dopo molti anni, si imbatte nell’uso del Cartone sperimentando le sue potenzialità. Stiamo parlando di OMA. Da questa ricerca sono nati quelli che chiama i Recycling, figure antropomorfe di grandi dimensioni. I Recycling nascono dal recupero di scatole, imballaggi, tubolari di cartone recuperato unicamente da rifiuti urbani e industriali. Questi materiali assumono nuova forma, nuova vita, tramite installazioni che tentano di descrivere il nostro tempo, descrivere il forte legame tra società e consumo, descrivere gli sprechi, i privilegi e i suoi eccessi che condizionano l’essere umano emotivamente e psicologicamente. I Recycling sono l’immagine che OMA usa per raccontare il proprio punto di vista in questa società. L’abbiamo intervista in occasione del suo speech a TEDx Bologna – It’s a miracle.
OMA, piacere di conoscerci. Abbiamo ammirato le tue bellissime creazioni al TEDx Bologna It’s a miracle, una maniera incredibile di trasformare un semplice cartone in un’opera d’arte, come è nata questa passione?
Salve, è un piacere anche per me conoscerla. L’interesse per il cartone è nato per caso, lavoravo per una grande distribuzione di arredi. Mentre caricavo i banchi di vendita notai un bancale in cartone (una cosa inusuale) e rimasi colpita dalla sua stabilità e resistenza. Fui folgorata! Immediatamente capii che quel materiale poteva avere delle potenzialità inesplorate. Iniziai a studiarlo facendo diverse ricerche sul suo utilizzo scoprendo molte opportunità. La sua “scoperta” mi fece capire che avrei potuto trasformarlo in altro e le ricerche su quel materiale definirono l’idea che oggi ha forma e nome: i recycling. Questa oggi è diventata una vera e propria passione per me, ma non nel senso di passatempo, interesse o hobby domenicale, ma passione nel senso corretto del termine: patire, soffrire. È un impegno a cui mi sottopongo con fatica e sacrifici economici, emotivi e personali. Lo faccio per riuscire a realizzare un progetto creativo che possa stimolare una riflessione sulla nostra società. Buona parte del mio tempo libero, quasi tutto, lo dedico alla realizzazione dei recycling.
Meno di cinque le persone che creano sculture in cartone in Italia, una razza in via di estinzione o un genere in crescita?
Credo sia un genere creativo in crescita, ancora da definire come forma artistica. Siamo in pochi nel nostro paese ad usare questo materiale nelle raffigurazioni scultoree, soprattutto di grandi dimensioni. Nel mondo ci sono diversi creativi (non tanti) che lo usano e in Italia ci stiamo arrivando lentamente, ma ci stiamo arrivando. Ad esempio, in Toscana c’è una biennale che presenta sculture e installazioni di carta e cartone e credo sia quella più importante a livello europeo. E’ lecito immaginare che in futuro ci saranno corsi dedicati a questa forma artistica, vista la crescente e necessaria importanza che negli ultimi anni stanno guadagnando le tematiche ambientaliste.
Un anno per creare Antithesis, una scultura di grande impatto e significato. Che rappresenta le contraddizioni e i contrasti quotidiani, è corretto?
È corretto… Tra modellino e installazione ho impiegato un anno per realizzarlo: è stato un lungo lavoro, ma era la prima volta che realizzavo una scultura di quelle dimensioni. Parliamo di sei metri di larghezza, alta circa un metro e ottanta. Volevo raccontare in modo visivo i contrasti che viviamo, che affrontiamo quotidianamente nella vita e nella società. Contrasti che possono essere di qualunque tipo: sentimentali, emotivi, sociali, etici, politici, morali. La costante antitesi cui siamo sottoposti, prima di ogni decisione. L’immagine di un noi, rappresentato dalla figura bianca centrale, che trattiene le forze opposte che cercano di tirarlo dalla loro parte. Ma ho imparato nel tempo e nelle varie esposizioni, che chi la guarda ci vede tanto altro, e questo per me, è solo un valore aggiunto.
Un’altra scultura allegorica è Primo, evidente il richiamo al servizio Prime di Amazon, una condanna del consumismo all’insegna del “tutto e subito”?
Più o meno… La società in cui viviamo è strettamente legata alla frenesia del consumo, del costante bisogno del nuovo, della costante ricerca di nuove piccole soddisfazioni materiali. Siamo cresciuti interiorizzando alcuni servizi come valori: Velocità, Facilità e Accessibilità. Stiamo trascurando il senso delle cose perché non c’è tempo e dobbiamo essere rapidi, dobbiamo raggiungere qualunque obiettivo nel modo più veloce, facile e accessibile. Lentezza, invecchiamento, cura e pazienza, diventano concetti anacronistici. Qualsiasi cosa ci circonda e che possediamo è pensata e realizzata per essere prodotta, distribuita e venduta nel minor tempo possibile. E ancor peggio deve durare lo stretto necessario, per poi condurci ad acquistarne una nuova. La formula del “TUTTO e SUBITO” è qualcosa di potente ed ammaliante: anche ogni altro aspetto delle nostre vite è travolto dalla frenesia di questa formula, dalle relazioni interpersonali alle nostre scelte di vita. Questa formula è entrata in profondità nel nostro sistema valoriale, nel nostro modo di vivere, pensare, lavorare. A volte non ci rendiamo conto di trattare le persone proprio come oggetti di consumo. Prendo, uso e poi butto. Ha reso un corredo le relazioni umane, rendendoci prodotti umani che usano altri prodotti umani: una volta usati, vengono cambiati per qualcosa di nuovo, magari più giovane e performante. Ma la cosa più assurda di tutto questo, almeno per me, è che la velocità nelle nostre vite insieme alla velocità di produzione e alla velocità con cui consumiamo, lasciano dietro di sé conseguenze pesanti e catastrofiche. Scarsa qualità dei cibi, devastazione ambientale, sfruttamento animale, condizioni lavorative sempre più instabili, disgregazione sociale, aumento delle disuguaglianze. Mi auguro che Primo possa suscitare queste riflessioni proprio perché è nato da queste.
Riciclo, economia circolare, sono temi al centro della politica europea e della società evoluta, secondo la tua impressione a che punto siamo arrivati? Quanto siamo sensibili su questo tema?
Nonostante sembra ci sia una volontà da parte della politica europea, ancora non siamo entrati nell’ottica di quanto sia importante il tema. I problemi legati al surriscaldamento globale sono diventati qualcosa di urgente, non più rimandabile. Quello che vedo è che si arrestano attivisti per l’ambiente, vengono giudicati, derisi e insultati, non ascoltati perché chiedono che si faccia di più. Sono ragazzi che sono arrivati a compiere gesti molto discutibili perchè hanno capito che il tempo a nostra disposizione è finito, soprattutto il loro. Saranno oltre venti anni che gli esperti continuano a ribadirlo. Le risorse del pianeta sono praticamente finite e a breve ci troveremo a vivere periodi di siccità. L’intelligenza umana ha dimostrato di poter risolvere molti problemi, ma questa intelligenza non la stiamo usando per salvare il nostro pianeta e la nostra vita, ma la stiamo usando solo per scopi economici e produttivi. Anche se le persone si stanno sensibilizzando sul tema ancora è lunga la strada da percorrere: stiamo ancora discutendo di riciclo, quando dovrebbe essere una realtà già da lungo tempo. Il fatto che questi temi siano messi al centro della politica europea è davvero il minimo che si possa fare.
Dopo tanti studi di alto livello in campo artistico, ora lavori nella GDO, con tutto il rispetto dovuto a qualsiasi lavoro, non pensi che ci sia anche un fallimento del sistema paese in questo? Nel senso che non si riescono a valorizzare le competenze specifiche.
Credo che siano due i fallimenti… Il primo è quello economico a livello globale: le grandi distribuzioni organizzate (che di organizzato non hanno nulla) sono l’esempio di quanto l’economia debba migliorare. Sono quelle che vendono grandi quantità di prodotti, ma di bassa qualità. Esistono catene di cibi e alimenti, per i farmaci, per i cosmetici, per arredi, per l’abbigliamento, per i prodotti informatici, per i ricambi di auto e moto, per quasi tutto quello che serve nel vivere quotidiano. Tutte producono enormi quantità di oggetti che dovranno essere venduti e poi smaltiti. E ci sono tanti report che descrivono l’orrore e i danni generati dai rifiuti che generano o report che analizzano come le grandi multinazionali distruggano le piccole imprese. Senza dimenticare i lavoratori all’interno di queste strutture: lavorano continuamente in condizioni stressanti perchè con poco personale, spesso sottopagati e sottodimensionati contrattualmente, privi di sicurezza e formazione, privi di qualsiasi dignità e considerazione. Sono poche le isole felici. Il secondo fallimento è quello del sistema culturale del paese. I titoli di studio similari al mio, umanistici e creativi, non vengono valorizzati o considerati: vengono percepiti come un qualcosa legato allo svago, ma che non serve per vivere. Non sono considerati lavori. Lo racconta la totale precarietà contrattuale e lavorativa nel settore culturale, dove il più delle volte lavori gratuitamente o vieni pagato così poco che sei costretto ad abbandonare perché non riesci a sostenere le spese basilari. Nel mio percorso ho incontrato tante ragazze e ragazzi che erano dotati di grande talento, ma purtroppo non hanno avuto la fortuna di poter vivere di quello che sapevano fare. I pochi che ho incontrato che sono riusciti ad andare avanti avevano le possibilità economiche per continuare. Anche io ho lasciato la scenografia perché non mi permetteva di vivere, portandomi a fare lavori di ogni tipo. Molti tentano la strada dell’insegnamento per le scuole primarie e secondarie, ma la selezione dei docenti in Italia si basa su un punteggio ottenuto alla laurea e uno ottenuto in base alle ore di supplenza: la parte curriculare non viene considerata. Le esperienze nel settore non si trasformano in “punteggio”. Sono così pochi i docenti che realmente sanno fare ciò che insegnano, perché lo hanno fatto o lo fanno. Questo non è un fallimento? Oggi mi sento fortunata perché quello che sto realizzando sta avendo piccole risposte, ma so che potrebbe finire domani. Il nostro paese è pieno di talenti non considerati o svalorizzati e scartati: per assurdo, li potreste trovare nel supermercato sotto casa che vi sorridono mentre vi servono al banco del pesce o del pane, oppure che vi servono la colazione al bar o mentre fate un aperitivo, o magari vi aiutano a scegliere il divano per la casa. Molti di loro sono sceneggiatori, cantanti, musicisti, attori, montatori, pittori, scultori, costumisti, scenografi, registi, illustratori, fotografi, antropologi, sociologi, scrittori, fumettisti e tanti altri che mi sto dimenticando sicuramente… persone che continuano a lavorare per mantenersi e nel loro tempo libero lavorano a progetti personali. Ma per la nostra Italia sono dei disagiati che vogliono fare gli “artisti”. Personalmente tutto questo lo trovo tra i peggiori fallimenti sociali che il nostro paese possa avere.
Progetti futuri? Hai già qualche nuovo lavoro in via di creazione? Nuove esposizioni?
Si, ho progetti da realizzare, ho molte idee e spunti su cui lavorare. Purtroppo, non vivo di questo, quindi portare avanti il progetto è difficile, impegnativo e non è semplice trovare gli incastri con il lavoro con cui mi mantengo e riuscire a partecipare a eventi o manifestazioni artistiche. Ma la volontà che ho è quella di andare avanti, lavorando per costruire qualità in quello che faccio, continuando a studiare e lavorare lo stesso. Voglio raccontare il valore e il significato di uno scarto, descrivendo plasticamente la società per quello che è, non come dovrebbe essere. I recycling descriveranno quanto il consumo condizioni le nostre vite, le scelte, i pensieri, il nostro sentire e quanto inquinamento porti al nostro pianeta. Racconterò il consumismo con uno dei materiali più usati, ma anche più scartati: il cartone. Vi ringrazio del tempo e l’attenzione datami.
[NdR – Si ringrazia Andrea Pauri di TEDx Bologna per la consueta assistenza e ospitalità]
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