UE e lavoratori digitali

Oggi nell’UE oltre 28 milioni di persone lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali e si prevede che nel 2025 questa cifra raggiungerà i 43 milioni. La crescita dell’economia delle piattaforme è illustrata dal fatto che tra il 2016 e il 2020 le entrate di tale settore sono quasi quintuplicate, passando da circa 3 miliardi di EUR a circa 14 miliardi di EUR. La stragrande maggioranza delle persone che lavora mediante piattaforme digitali è costituita realmente da lavoratori autonomi, nel contempo si stima che 5,5 milioni di persone siano erroneamente classificate come lavoratori autonomi. Gli organi giurisdizionali dei vari paesi dell’UE decidono in merito alla situazione occupazionale dei lavoratori delle piattaforme digitali caso per caso e gli Stati membri hanno approcci diversi al lavoro mediante piattaforme digitali. Questo comporta che normative nazionali sono state adottate per lo più in settori specifici, ad esempio nei settori dei servizi di trasporto a chiamata e/o dei servizi di consegna di cibo.

È in corso un dibattito sul riconoscimento dei lavoratori delle piattaforme digitali come lavoratori subordinati e non come contraenti indipendenti responsabili della propria assicurazione sociale e con controllo sul proprio reddito. Il lavoro mediante piattaforme digitali è destinato a crescere, ma rappresenta chiaramente anche una sfida per i quadri normativi e istituzionali esistenti, e i suoi effetti sull’economia e sulla società sono incerti. La qualità del lavoro offerto e le condizioni di impiego dei lavoratori delle piattaforme digitali suscitano vaste preoccupazioni in relazione a questioni quali la mancanza di possibilità di indennità di malattia e un accesso limitato alle prestazioni di disoccupazione o ai regimi di sostegno del reddito.

La nozione di lavoratore digitale pone di per sé un problema di identificazione e ricognizione del tipo sociale, gli studi più recenti evidenziano almeno varie tipologie di piattaforme che mediano l’incontro tra offerta e domanda di prestazioni di lavoro di tipo standard e sostanzialmente uniformi (es.: riders e Uber); piattaforme che mediano domanda e offerta di lavoro fisico come micro lavoretti e servizi specializzati; piattaforme che mediano lavoro digitale che si svolge direttamente su piattaforma, normalmente creativo e molto specialistico (graphic design, branding, product development, traduzioni, editing ecc.).

La Commissione europea ha presentato la sua proposta di direttiva ai due co-legislatori, Consiglio e Parlamento europeo, il 10 dicembre 2021. In sede di Consiglio, il fascicolo è all’esame del gruppo competente, la direttiva mira a garantire che alle persone che lavorano mediante piattaforme digitali sia riconosciuta la situazione occupazionale legale che corrisponde alle loro modalità di lavoro effettive. La proposta prevede una lista di controllo per determinare se la piattaforma digitale sia un “datore di lavoro”,  è giuridicamente considerata un datore di lavoro se sono soddisfatti almeno due dei seguenti criteri: determinazione del livello della remunerazione o fissazione dei limiti massimi; supervisione dell’esecuzione del lavoro con mezzi elettronici; limitazione della libertà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappaltatori o sostituti; fissazione di regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro; limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi; Se almeno due di questi criteri sono soddisfatti, le persone che lavorano mediante la piattaforma digitale dovrebbero godere dei diritti sociali e dei lavoratori derivanti dallo status di “lavoratore subordinato”: salario minimo (ove previsto); contrattazione collettiva; orario di lavoro e protezione della salute; ferie retribuite; migliore accesso alla protezione contro gli infortuni sul lavoro; prestazioni di disoccupazione e di malattia; pensioni di vecchiaia di tipo contributivo.

Le piattaforme digitali hanno il diritto di contestare tale classificazione, nel qual caso devono dimostrare l’assenza di un rapporto di lavoro. Tali misure dovrebbero pertanto apportare benefici anche alle piattaforme grazie a una maggiore certezza del diritto, alla riduzione delle spese di contenzioso e alla più agevole pianificazione aziendale.

Le piattaforme di lavoro digitali utilizzano sistemi algoritmici per organizzare e gestire le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali tramite le loro applicazioni o siti web. Le persone in questione spesso non dispongono di informazioni sul funzionamento degli algoritmi e sul modo in cui sono adottate le decisioni. In base a questo la direttiva si propone di: aumentare la trasparenza per quanto riguarda l’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali; garantire il monitoraggio umano delle condizioni di lavoro; concedere il diritto di contestare le decisioni automatizzate (sia ai lavoratori dipendenti che ai lavoratori realmente autonomi).

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