Dialoghisti

Sull’Ucraina, Elly Schlein ha confermato in un programma TV la posizione del PD favorevole all’invio di armi a Kiev. Se non lo avesse fatto, importanti pezzi del suo partito le avrebbero voltato le spalle. Poi, per non distaccarsi troppo dai suoi potenziali alleati di sinistra, ha ripetuto il solito mantra: armi sì, ma lavoriamo per la pace.

Cercare il dialogo e la pace è una cosa onorevole. In quarantatré anni di carriera non ho fatto altro e sono abbastanza orgoglioso di aver contribuito, alla NATO, al dialogo tra l’Alleanza e la Russia di Eltsin, sfociato poi nell’accordo di Parigi, il primo e unico tra NATO e Mosca, purtroppo archiviato negli anni Duemila, per responsabilità principalmente di Putin, ma un po’ anche dell’Amministrazione repubblicana di George Bush jr. Ma se una cosa mi hanno insegnato quarantatré anni di mestiere diplomatico, è che dialogo e mediazione sono possibili quando le parti in gioco lo accettino, e un accordo è realistico quando tutte le parti, o almeno una di esse, è disposta a cedere qualcosa. È una lezione che avremmo dovuto imparare per sempre dall’esempio dei vari Chamberlain e Halifax, che a Monaco svendettero a Hitler la Cecoslovacchia. E poi vennero la Polonia e tutto il resto.

Quelli che continuano a riempirsi la bocca di dialogo e di pace compiono lo stesso monumentale errore dell’anteguerra. Putin è forse diverso da Hitler, ma non migliore. Stesso regime repressivo, stesso imperialismo aggressivo. E stessi metodi di propaganda, basati sulla ripetizione delle più sfacciate menzogne. Le più recenti l’Occidente vuole cancellare la Russia, la guerra l’ha voluta e iniziata Kiev (risate nell’uditorio), e la perla: gli inglesi sono alla fame e devono mangiare gli scoiattoli.

Pensare che si possa seriamente dialogare con gente così è davvero, come avrebbe detto Talleyrand, più che un crimine è un errore. Ma un errore che mostra o un’enorme ingenuità, o una completa cecità o, magari, uno squallido opportunismo.

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