Acquisti online, l’illusione di scegliere
Se non lo avete ancora provato, fate questo divertente gioco. Insieme a vostra moglie o marito, ai figli, ad un amico, andate sulla prima pagina di un motore di ricerca, Google ad esempio, e digitate entrambi sulla stringa di ricerca un qualsiasi oggetto che, teoricamente potreste acquistare. Scarpe da cerimonia? Un maglione? Un set di pentole? Aggiungete un aggettivo, ad esempio il colore o se lo volete da uomo o da donna. Per le pentole se preferite acciaio o antiaderente. L’importante è che le parole inserite siano le stesse. Fatto? Adesso guardate i risultati e scoprirete le differenze, spesso molto profonde, tra le due schermate.
Niente di nuovo si potrebbe dire; lo sappiamo che i nostri cellulari spiano, ascoltano, decidono per noi. Prima di tutto cerchiamo di non dimenticare che siete stati voi ad averli autorizzati, rispondendo sì alle domande sull’autorizzazione al trattamento dati, l’invio di pubblicità, la profilazione della navigazione e così via.
Poi ricordiamo che il nostro inseparabile amico da tasca riconosce i nostri comportamenti, i nostri like, le pagine su cui passiamo più tempo e le persone che ci frequentano. Sulla base di questo ha anche costruito la nostra identità virtuale, una sorta di avatar che ci rappresenta quando ci muoviamo in Rete. Per spirito di precisione, non corrisponde all’identità digitale: quella è la nostra persona quando dialoga con le pubbliche amministrazioni tramite identificativi quali lo Spid.
Ma torniamo ai risultati della ricerca sul nostro monitor. Oltre a poter scoprire i gusti strani del compagno con cui abbiamo scelto di giocare, riflettiamo sul perché proprio a noi appaiono determinati prodotti che, a prima vista, incontrano addirittura il nostro consenso.
Oltre all’autorizzazione a trattare i nostri dati e alla personalità digitale, lo smartphone incrocia i nostri comportamenti e le interazioni sui social e, finalmente, arriva un intervento esterno: la real time bidding. Si tratta di una tecnica di marketing digitale nella quale le aziende pubblicitarie partecipano a un’asta in tempo reale per guadagnarsi la possibilità di far visualizzare i loro annunci su un determinato monitor quando vengono informate che qualcuno è interessato ai loro prodotti. Questo sistema offre agli inserzionisti un maggiore controllo su dove verranno visualizzati i loro annunci e una maggiore flessibilità nel target dei loro messaggi.
Non più un cartellone pubblicitario piazzato in strada sperando che qualcuno lo noti e scelga il prodotto che si vuole vendere, ma far comparire esattamente proprio quel prodotto a chi ha manifestato l’interesse che potrebbe tramutarsi in intenzione di acquistarlo.
Ad un primo impatto si potrebbe pensare che quel prodotto sia l’ideale per noi: prezzo, colore, dimensioni, magari anche tempi di consegna. Invece è quello che hanno deciso per noi gli algoritmi che hanno profilato i nostri dati, i comportamenti, le connessioni.
Una delle nuove leggi del marketing recita che “se vuoi nascondere un cadavere, il luogo ideale è la seconda pagina della ricerca su Google.” In quanti osano allontanarsi dai primi dieci risultati? Qualcuno fa notare che la maggior parte degli utenti si ferma alla prima metà della pagina che compare e, addirittura, molti vanno direttamente sul sito da cui acquistano più frequentemente.
In sintesi, quelle che è una serie innumerevole di apparenti vetrine scintillanti, si rivela essere un enorme imbuto che ci convoglia esclusivamente in una direzione, andando di fatto a limitare la nostra libertà di scelta. E ciò avviene non solo per gli acquisti, ma per tutto ciò che cerchiamo in internet. O credete che, ad esempio, sugli schermi di chi la pensa in una determinata maniera su qualsiasi argomento, compaiano opinioni discordanti o diverse per permettergli un confronto?
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