Silicon Valley Bank, rischio contagio?
Il caso Silicon Valley Bank, istituto regionale statunitense fallito l’altra settimana, ha tolto il sonno a molti risparmiatori e provocato un’ondata di vendite sui mercati in almeno un paio di continenti. Ma c’è veramente da aver timore? Sono concreti i rischi di contagio?
Cosa è successo? – È successo che la SVB, la Silicon Valley Bank, banca californiana di medie dimensioni specializzata nella finanza rivolta alle aziende high-tech in fase iniziale, le cosiddette startup, è fallita. Si stanno ancora cercando di capire bene le motivazioni alla base di questo fallimento, ma punterei con decisione il faro sul fatto che la SVB ha investito i considerevoli depositi di queste startup nell’acquisto di obbligazioni e titoli governativi USA a tasso fisso a lunga durata. Il problema è che, così facendo, SVB ha infranto una delle regole bancarie auree, ossia ha investito la raccolta a breve di depositi, per loro natura nervosi e molto esigibili, in impieghi di fatto immobilizzai, i titoli governativi a medio lungo termine.
Quando poi, nel 2022, il settore tech ha rallentato notevolmente, queste startup hanno avuto bisogno di attingere nuovamente a quei depositi che avevano creato presso la SVB di conseguenza questa, per far fronte alle richieste, ha dovuto liquidare quei titoli governativi che aveva in portafoglio. Questo è avvenuto in perdita, a causa del repentino aumento dei tassi voluto dalla Fed, che ha deprezzato il valore di questi titoli governativi, poiché nei titoli a tasso fisso, se salgono gli interessi, scende il valore dei titoli e viceversa. Di conseguenza, il panico, la corsa agli sportelli, il fallimento della banca.
Esiste un rischio che le banche europee possano essere contagiate dal caso SVB? – Direi di no. E questo perché il crack della SVB è derivante dal fatto che nel 2018 l’amministrazione Trump ha di fatto liberato le banche di piccole e medie dimensioni dalle severe normative di vigilanza prima esistenti. In Europa, anche le banche di medio-piccole dimensioni devono rispettare i severi requisiti di patrimonio e di liquidità imposti dalla normativa di Basilea 3, ad esempio le banche sono obbligate a detenere riserve di liquidità tali da poter fronteggiare anche shock acuti dei mercati, come esempio il ritiro dei depositi per almeno un mese. Anche le difficoltà oggi patite da Credit Suisse, seconda banca Svizzera non sottoposta alla vigilanza della BCE, poco hanno a che fare con il caso SVB. Sono anni che la banca Svizzera è un sorvegliato speciale e sono anni che ha un rating considerato al limite della zona ad alto rischio.
Le banche italiane corrono particolari rischi di contagio? – Anche in questo caso direi di no. Attualmente, le banche italiane rispettano pienamente i requisiti di Basilea 3, tant’è vero che il rapporto tra patrimonio ed impieghi, considerando anche la rischiosità degli impieghi, nel 2008 si aggirava intorno ad un 6%, attualmente si aggira intorno a un 14-15%. E di recente Giovanni Sabatini, direttore generale di ABI ha ricordato come le banche italiane siano attualmente tra gli istituti più liquidi in Europa. Il problema è che i focolai nascono sempre dall’altra parte dell’Oceano.
[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]
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