Di Maio per il Golfo
L’Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha nominato Luigi Di Maio rappresentante dell’Unione presso i Paesi del Golfo, ritirandolo dal completo oblio in cui era caduto.
Di Maio ha avuto qualche scivolone iniziale, come l’appoggio ai “gilets jaunes” e la proposta di impeachment a Mattarella, ma poi, nel secondo Governo Conte e nel Governo Draghi, è stato un Ministro degli Esteri corretto e, nella vicenda ucraina, molto fermo. Con il suo faccino pulito da cocco di mamma, era il genero sognato dalle mamme con figlie da sposare. Sembrava destinato a grandi cose, poi si è scontrato con Conte, ha perso ovviamente il favore di Beppe Grillo che lo aveva inventato, ha creduto di poter fondare il suo partitino e alla fine ha perso anche il posto in Parlamento. Una parabola forse ingiustamente breve.
Ora avrà di nuovo qualcosa da fare, un ufficio a Bruxelles, un compenso. Buon per lui. Il posto in sé non ha grande contenuto e dubito che Di Maio sia la persona più adatta a dargliene uno. Ma nella sua nomina non c’è niente di scandaloso; scandalosa è la gretta, provinciale meschinità dei vari Salvini, che protestano che non è una scelta del Governo.
Negli organismi multilaterali, tutti i Paesi membri cercano di sistemare gente propria (gli spagnoli sono i più efficaci). Quando capita che uno riceva una nomina, anche non richiesta, di solito si ringrazia o si sta zitti. Ma vallo a dire al pollaio in cui consiste parte della politica italiana.
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