Cronache dai Palazzi
Nella società in cui viviamo “parlare di maternità e famiglie è un atto rivoluzionario”, lo ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo agli Stati Generali della Natalità venerdì 12 maggio, accanto al Santo Padre, papa Francesco.
“Dobbiamo andare oltre il qui e ora. La natalità è la priorità della nostra azione, affinché l’Italia torni ad avere speranza nel futuro”, che è “una virtù concreta”, ha sottolineato papa Francesco. La speranza “è un atteggiamento di vita, si nutre dell’impegno e cresce quando siamo partecipi e coinvolti nel dare senso. Alimentare la speranza è un’azione sociale, intellettuale, artistica nel senso più alto della parola, ossia mettere le proprie risorse al servizio comune. La speranza non delude”, ha ammonito il pontefice, ribadendo che occorrono “politiche lungimiranti” per far “fiorire una nuova primavera” che sia in grado di fronteggiare l’inverno demografico.
La nostra sembra essere una società assediata da una certa “stanchezza interiore” che purtroppo “anestetizza i desideri”. Dalla crisi però si può uscire e “non si esce mai uguali: o migliori o peggiori”. In particolare, dalla crisi si esce tutti insieme. Le crisi, infine, non sono del tutto negative. La parola “crisi” deriva dal greco e significa “scelta, decisione”, ha sottolineato la premier Meloni, quindi crisi vuol dire anche crescere, migliorare, decidere, rinascere più forti. “Dove non c’è crisi non c’è vita”, ha affermato papa Francesco.
La presidente del Consiglio ha a sua volta dichiarato che “il compito dello Stato è creare delle condizioni favorevoli”, affinché ad esempio le donne non debbano scegliere tra il lavoro e l’essere madre. “Abbiamo intitolato alla natalità un ministero, lo abbiamo collegato a famiglia e pari opportunità, non è una scelta di forma ma di sostanza”, ha affermato la premier. “È la sintesi del programma di un governo che vuole affrontare le grandi crisi, fra cui è innegabile quella demografica. Perché i figli sono la prima pietra della costruzione di qualsiasi futuro”.
In sostanza a una donna la maternità non dovrebbe “togliere niente” né “impedire niente”, – ha affermato Giorgia Meloni – o almeno così dovrebbe essere sempre, a prescindere dalle condizioni di partenza. È “ingiusto e umiliante” che “solo i più ricchi possono permettersi di fare figli”, ha sottolineato a sua volta Francesco, non omettendo nel contempo che “il futuro non pare incerto lo è. In un contesto di incertezze e fragilità le giovani generazioni sperimentano una sensazione di precarietà per cui il domani sembra una montagna da scalare”, ha affermato il pontefice ribadendo che “dalla crisi non si esce da soli: o siamo tutti uniti o non lo siamo. Non possiamo accettare passivamente che tanti giovani sacrifichino il loro desiderio di famiglia accontentandosi dei surrogati. Non rassegniamoci al pessimismo, al sorriso di compromesso”, ha ammonito Francesco ricordando che speranza vuol dire anche “seminare futuro”.
Nella pratica “non c’è libertà se si deve scegliere tra lavoro e maternità”, ha affermato Meloni aggiungendo: “Se le donne non avranno la possibilità di realizzare il loro desiderio di maternità senza dover rinunciare alla realizzazione professionale non è che non avranno pari opportunità, non avranno libertà”. Mentre “essere padri o madri” dovrebbe essere “un valore socialmente riconosciuto e non un fatto privato”.
Sul tema della natalità si sono espressi anche altri leader politici, tra cui il ministro Francesco Lollobrigida, le cui parole hanno suscitato un certo sgomento a proposito di “etnia italiana” da “difendere”. Lollobrigida ha affermato che non si tratta di parlare di “razza italiana”. Allo stesso tempo “esiste però una cultura, un’etnia italiana, quella che la Treccani definisce raggruppamento linguistico culturale”.
Contro tali parole si sono scagliate le opposizioni, tra cui la segretaria dem Elly Schlein, che le ha definite “parole sbagliate”. Nel contempo Schlein ha ammesso che il tema della natalità sia strettamente legato al tema della precarietà lavorativa, e ha affermato di essere “molto d’accordo con un approccio strutturale sul tema fondamentale del contrasto al declino demografico”. Sul tema della natalità sembra esserci in effetti la volontà diffusa di costruire progetti bipartisan, come ha dichiarato l’ex ministra Mara Carfagna, di Azione, invocando per l’appunto un approccio bipartisan “così che la strategia possa essere perseguita con l’alternanza dei governi”. L’ex ministra della Famiglia Bonetti (Italia viva) propone invece di “lanciare un patto trasversale sulla natalità”. L’attuale ministra della Famiglia, delle Pari opportunità e della Natalità, Eugenia Roccella, in maniera incisiva e radicale, afferma infine che “serve una rivoluzione culturale, un cambiamento significativo sulla genitorialità”.
L’Istat rileva che “nel 2022 si contano 392.598 nascite, 7.651 in meno rispetto al 2021 (-1,9%), nuovo record negativo” per il nostro Paese. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolinea a sua volta che “da qui al 2042 con gli attuali tassi di fecondità il nostro Paese rischia di perdere per strada percentuali del Pil impressionanti pari al 18%”; il ministro dell’’Istruzione, Giuseppe Valditara ricorda invece che “in dieci anni gli studenti caleranno da 7,4 milioni a 6 milioni”.
Come ha messo in evidenza il presidente della Repubblica Sergio Mattarella “la struttura demografica italiana manifesta uno squilibrio che deve richiamare l’attenzione”. Sergio Mattarella pone l’accento sull’allarme per cui la popolazione italiana scendere a 48 milioni di abitanti, dagli attuali 59, entro il 2070.
In questo contesto la premier Meloni ha sottolineato con forza che “la natalità non è in vendita, l’utero non si affitta e i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere e poi magari restituire”. Forse “qualcuno dirà che vogliamo uno Stato etico – ha affermato Meloni – no vogliamo uno Stato che accompagni e non diriga, vogliamo credere nelle persone, scommettere sugli italiani, sui giovani, sulla loro fame di futuro”.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ricorda che “eravamo il Paese leader in Europa per la natalità fino agli anni ’60 e questo ha conciso con il miracolo economico italiano, è stato l’effetto della fiducia delle famiglie che avevamo e della natalità che hanno creato”, ha affermato il ministro del Made in Italy, un brand famoso in tutto il mondo per la sua “eccellenza”, in quanto il Made in Italy “è cura della persona” in vari campi: stile, moda, alimentazione e tanto altro. Il Made in Italy nasce proprio negli anni del boom economico “dall’intuizione e dalla creazione” dei giovani di allora: chi “si inventa stilista”, chi “cuoco”. Ognuno ha creato “la sua piccola o micro impresa”, ciò che in fondo rappresenta al meglio il nostro Bel Paese, un vasto e produttivo tessuto connettivo di piccole e medie imprese che sono la forza dell’Italia, esportata e ammirata in tutto il mondo. “Piccola e micro impresa, molto spesso familiare, che punta sulla qualità e sull’eccellenza”. L’Italia è “il Paese del Fare” e anche sul Made in Italy occorre “fare una rivoluzione culturale”. Per cui “l’impresa italiana e la scuola italiana devono dare l’esempio”.
Occorre recuperare una “frattura”, che Adolfo Urso ha collegato in parte alla cultura del ’68, “che ha avuto senza dubbio degli aspetti positivi ma nel contempo ha anche disgregato”, tanto che “negli anni ’70 abbiamo invertito la tendenza e oggi siamo in fondo alla classifica della natalità”.
Occorre quindi invertire una tendenza, in particolare, come ha affermato il pontefice, occorrono “politiche lungimiranti” per far “fiorire una nuova primavera” che sia in grado di fronteggiare l’inverno demografico a cui assistiamo. “Sono convinto che l’inversione di tendenza è già in atto e lo dimostrano i dati di crescita superiori ad ogni aspettativa”, ha aggiunto il ministro Urso. “Abbiamo smentito i profeti di sventura e le statistiche economiche. Cresciamo più di Francia e Germania”.
In definitiva “la coesione del Paese si misura sulla capacità di dare un futuro alle giovani generazioni, creando un clima di fiducia”, ha ammonito il capo dello Stato, Sergio Mattarella, riferendosi a varie questioni tra cui il problema delle “culle vuote”, al quale è strettamente collegato il problema dell’occupazione e della precarietà nel mondo del lavoro, in particolare in riferimento alle donne. In questo contesto “la responsabilità” e ciò che “compete alle istituzioni”, attuando “politiche attive che permettano alle giovani coppie di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà materiali e di accesso ai servizi che rendono ardua la strada della genitorialità”. Come sottolinea il presidente Mattarella non si tratta di un puntiglio ma di “una puntuale prescrizione della Carta costituzionale che all’articolo 31 richiama la Repubblica ad agevolare ‘con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi’”.
Per realizzare un Paese a misura di giovani, di famiglie, di figli, di futuro occorre però concretizzare delle misure, altrimenti rimane tutto nero su bianco. Occorre mettere a terra “politiche abitative, fiscali, sociali appropriate”, in quanto “conciliare l’equilibrio tra vita e lavoro è questione fondamentale per lo sviluppo delle famiglie”. Parole incisive e come sempre decisive le parole del capo dello Stato, che arrivano dalla Norvegia dove Mattarella è tornato a pronunciarsi sulla “follia della guerra” in Ucraina, per cui “non ci si deve distogliere dalla ricerca di un approdo di pace”.
Stamane Mattarella ha aperto le porte del Quirinale al presidente Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino, in visita nella Capitale, dal Colle passa a Palazzo Chigi per poi arrivare al di là del Tevere, da papa Francesco, per magari parlare finalmente di pace e, soprattutto, di una strada concreta per realizzare la pace. “La pace si fa sempre aprendo canali”, affermava Francesco a fine aprile di ritorno dall’Ungheria, preannunciando una “missione” riservata per “aprire una strada di pace” tra Mosca e Kiev, e provocando un misunderstanding immediatamente riparato dalla diplomazia vaticana. Il pontefice non ha però mai abbondato il progetto di fare la pace. Magari è arrivato il momento di iniziare un percorso in maniera concreta, consapevoli che la porta della pace è comunque stretta ma non impossibile da aprire.
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